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Polizza obbligatoria avvocati, si cambia ancora, via gli “infortuni”


Polizza obbligatoria avvocati, si cambia ancora,

via gli “infortuni”

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha recepito l’invito del presidente del Consiglio nazionale forense a modificare la norma riguardante l’obbligatorietà per gli avvocati di stipulare una polizza assicurativa che comprenda anche la copertura da infortuni. A prevedere l’obbligatorietà, sia per l’avvocato che per i suoi collaboratori, dipendenti e praticanti, è stata la legge di riforma della professione forense, la 247 del 31 dicembre 2012, all’articolo 12. Con il decreto 22 settembre 2016 del ministero della Giustizia sono state stabilite le «Condizioni essenziali e i massimali minimi delle polizze assicurative a copertura della responsabilità civile e degli infortuni derivanti dall’esercizio della professione di avvocato».

Quel Dm, in merito alla polizza infortuni, aveva precisato all’articolo 4 che l’assicurazione doveva essere prevista a favore degli avvocati e dei loro collaboratori, praticanti e dipendenti per i quali non fosse operante la copertura assicurativa obbligatoria Inail.

Attualmente, il testo della legge di cui è stata richiesta modifica recita infatti: «All’avvocato, all’associazione o alla società tra professionisti è fatto obbligo di stipulare, anche per il tramite delle associazioni e degli enti previdenziali forensi, apposita polizza a copertura degli infortuni derivanti a sé e ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti in conseguenza dell’attività svolta nell’esercizio della professione anche fuori dei locali dello studio legale, anche in qualità di sostituto o di collaboratore esterno occasionale».

Già nelle ore in cui stava per scattare l’obbligo assicurativo, scadenza fissate per l’11 ottobre scorso, il ministero aveva prorogato di trenta giorni il termine per permettere una miglior definizione della convenzione che il Consiglio nazionale forense stava concordando con una compagnia privata vincitrice del relativo bando. A quanto pare però lo scenario ha richiesto un ulteriore cambio di indirizzo, dato che il presidente del Cnf Andrea Mascherin il 26 ottobre ha inviato una nota al Guardasigilli chiedendo di prevedere come “facoltativa” la garanzia infortuni, data anche l’eccessiva onerosità di tale obbligo per quanto riguarda i dipendenti titolari di rapporto di lavoro subordinato e dal momento che molti di loro –
specialmente i collaboratori degli studi legali – godono già della copertura assicurativa dell’INAIL.

La risposta del Ministro Orlando

Il Ministro Orlando ha risposto con una nota «che la proposta di modifica è stata trasmessa all’Ufficio legislativo, affinché provveda a formulare una corrispondente proposta di modifica», che probabilmente troverà spazio nella manovra attualmente in discussione.

«L’obbligo assicurativo in materia di infortuni appare probabilmente eccessivo», ha scritto Mascherin, sottolineando come «i dipendenti godano già di copertura assicurativa in quanto lavoratori subordinati».

Cosa dice la legge?

Come indicato nel regolamento sull’assicurazione obbligatoria pubblicato lo scorso anno in Gazzetta Ufficiale, dal 2017 gli avvocati hanno l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa per la copertura delle responsabilità civili derivanti dall’esercizio della propria professione. Ad essere coperti sono anche i danni causati dai collaboratori.

Polizza che copre diverse tipologie di danno:

  • patrimoniale;
  • non patrimoniale;
  • permanente;
  • temporaneo;
  • futuro.

C’è poi una seconda polizza obbligatoria per gli avvocati: quella infortunistica che copre i danni accidentali che potrebbero verificarsi nello studio legale. Nel dettaglio, l’articolo 12 – comma 2 – recita:

“All’avvocato, all’associazione o alla società tra professionisti è fatto obbligo di stipulare, anche per il tramite delle associazioni e degli enti previdenziali forensi, apposita polizza a copertura degli infortuni derivanti a sé e ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti in conseguenza dell’attività svolta nell’esercizio della professione anche fuori dei locali dello studio legale, anche in qualità di sostituto o di collaboratore esterno occasionale”.

Un comma che quindi presto potrebbe sparire dalla legge, con la polizza sugli infortuni che tornerebbe ad essere – per la felicità degli avvocati – facoltativa.

Obbligare gli avvocati a sottoscrivere due diverse polizze è inutile e a quanto pare lo stesso Ministro della Giustizia concorda con il CNF. L’assicurazione contro gli infortuni quindi tornerà ad essere facoltativa; saranno i singoli avvocati a decidere se sottoscriverla oppure no.

I tempi ora

Sarà comunque l’Ufficio legislativo a valutare se la proposta di modifica inviata dal Ministro debba essere approvata. Per saperne di più dovremo attendere ancora qualche giorno poiché – come confermato da Orlando – questa proposta verrà valutata ai fini di un “esame nell’ambito della sessione parlamentare di bilancio”. Una possibile modifica del testo quindi – se ci sarà – verrà completata entro la fine dell’anno, con la polizza assicurativa contro gli infortuni che tornerà ad essere facoltativa a partire dal 2018.

L’anf approva ma con ironia

Per il segretario generale dell’Associazione nazionale forense Luigi Pansini «L’intervento è sicuramente apprezzabile… tuttavia appare beffardo che politica e istituzioni si accorgano dell’obbligatorietà della polizza per gli infortuni a distanza di quasi cinque anni dall’approvazione della legge ordinamentale forense e di un anno dall’adozione del regolamento attuativo». L’ennesimo smacco per chi ha rispettato le regole e si è già assicurato (e, secondo le stime di Anf, parliamo di circa il 50% degli “obbligati”) .

Medie imprese: se gestiscono il rischio, +38% di redditività

Medie imprese: se gestiscono il rischio,
+38% di redditività

Come non ci stanchiamo di ricordare, in Italia la cultura della gestione del rischio deve ancora fare passi da gigante prima di raggiungere i livelli auspicati. Se questo vale soprattutto, in termini percentuali, nel settore privato delle persone, delle famiglie, anche nel mondo produttivo dobbiamo ancora darci da fare. Un fattore determinante per far comprendere agli imprenditori l’importanza del tema Risk management è prendere consapevolezza dell’oggettività dei dati legati ai vantaggi sulla redditività che un miglioramento delle strategie al proposito produrrebbe. Le medie imprese italiane che adottano un metodo di gestione integrato e trasversale dei rischi presentano infatti una redditività maggiore del 38% rispetto a quelle che non dispongono di un sistema dedicato alla gestione del rischio.

A questo proposito vale la pena ricordare quanto emerso dall’ultima edizione dell’Osservatorio di Cineas – Consorzio Universitario fondato dal Politecnico di Milano – sulla percezione e gestione dei rischi da parte delle medie imprese, realizzata in collaborazione con Mediobanca, con il contributo di PER SpA. L’indagine ha preso in esame 280 aziende medie italiane, rilevandone un fatturato medio di 60 milioni di euro, in cui la quota dell’export ammonta al 45,5% e il numero medio dell’organico a 156 dipendenti.

“Rispetto alle scorse edizioni, nel 4° Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese – ha spiegato il presidente di Cineas, Adolfo Bertani – abbiamo cercato anche di capire come nuovi fattori quali il terrorismo, gli eventi climatici estremi e le innovazioni dell’Industria 4.0 abbiano cambiato la percezione del rischio da parte degli imprenditori italiani.”

I rischi maggiormente percepiti dagli imprenditori italiani sono quelli provenienti dal mancato rispetto di obblighi normativi, come la sicurezza sul lavoro, la responsabilità civile per difettosità del prodotto e il rispetto della normativa fiscale. Al terzo posto troviamo un’area cui gli imprenditori sono sempre più attenti, quella del cosiddetto cyber risk.

“Da segnalare con positività è il rischio reputazionale al quinto posto che nella scorsa edizione dell’Osservatorio si trovava in una posizione molto più arretrata – è stato il commento di Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca – Questo appare coerente con la già dichiarata volontà da parte delle imprese di presidiare attentamente il contenuto qualitativo delle proprie produzioni.

Il rischio di imitazione del prodotto compare in ultima posizione, poiché le imprese fanno della qualità – che leggiamo nei rischi delle prime posizioni – il principale vantaggio competitivo”.
Redditività maggiore per le aziende che guardano ai rischi più avanguardistici
I dati evidenziano non solo che le imprese più evolute dal punto di vista della gestione del rischio riportano regolarmente performance economiche (ROI) più soddisfacenti, man mano che ci si sposta verso la gestione di rischi che esulano dall’obbligatorietà legale e che riguardano leve competitive come la reputazione, le competenze specifiche, il Cyber Risk e il rischio di imitazione del prodotto l’impresa risulta più efficiente in termini economici.

Aziende del settore alimentare protagoniste nella gestione dei rischi
Il settore più virtuoso nella gestione dei rischi è senz’altro quello Alimentare, dove i maggiori presidi sono dedicati alla tutela del prodotto contro la contraffazione e alla gestione del rischio reputazionale,
coerentemente con un settore che fa dell’autorevolezza del marchio e della sua sicurezza igienico-nutrizionale i propri vantaggi competitivi. Seguono i settori Chimico-Farmaceutico e Meccanico. Relativamente arretrate invece le imprese che producono Beni per la persona e per la casa e il settore Metallurgico.

FOCUS “NUOVI RISCHI”
Terrorismo: un’impresa su tre teme per l’incolumità dei propri dipendenti

Interrogati sui rischi legati al terrorismo è emerso che l’attuale contesto di crescente incertezza geopolitica ha aumentato la preoccupazione degli imprenditori. Quasi un’impresa su tre (30,7%) teme per i propri dipendenti condizionando la loro mobilità. Le preoccupazioni salgono al 35,7% dei casi quando si parla di supply chain. Ma è sotto il profilo commerciale che le imprese avvertono i rischi maggiori di instabilità, un’impresa su due infatti (51,3%) vede in pericolo le proprie vendite per una caduta della domanda dovuta all’alterazione che il rischio terrorismo può produrre sulle abitudini di consumo dei propri clienti.

Rischi climatici estremi: il 62% delle imprese è assicurato
Un’altra tipologia di rischio su cui si è raccolta l’opinione delle imprese riguarda i rischi ambientali legati a fenomeni climatici estremi, anche qui ciò che desta maggiore preoccupazione è il profilo commerciale (33,2%), seguito dal rischio di mancata integrità del ciclo di produzione e di approvvigionamento. Sulle calamità naturali però la percezione delle ricadute è più sfumata, anche perché il 61,9% delle imprese gode di una copertura assicurativa, rispetto alla componente terroristica su cui solo il 32,6% delle aziende è assicurato.

Industria 4.0: chi ne riconosce il valore ottiene performance economiche migliori
Per quanto riguarda la percezione sulle nuove frontiere tecnologiche e il loro impatto in tema di gestione del rischio aziendale, sono stati analizzati: l’utilizzo delle forme di automazione che escludono l’intervento umano, come l’auto senza pilota; la domotica; l’uso dei droni; il mobile e-health e l’utilizzo delle stampanti 3D.
Il quadro che emerge testimonia ancora una certa diffidenza verso queste innovazioni, delle quali maggiore rilevanza viene attribuita alla domotica. Ma mettendo a confronto la valutazione sulle diverse innovazioni e la redditività, risulta che le imprese che vi hanno attribuito maggiore rilevanza, sono anche le più profittevoli.

Chi gestisce il rischio in azienda? Per ora i consulenti
Nel 76% dei casi per la realizzazione del sistema di gestione del rischio si ricorre a partner esterni, spesso di natura consulenziale. Meno frequente la presenza assicurativa (28,8%).

“Per le compagnie di assicurazione questo dato apre grandi spazi di attività nello sviluppo di servizi di consulenza alle medie imprese per la gestione del rischio – afferma Adolfo Bertani, Presidente di Cineas – Se non lo faranno le compagnie qualcun’altro coglierà questa opportunità”. (fonte: Cineas)

Gestione dei rischi in Italia: le aziende cominciano a svegliarsi, le famiglie ancora poco

http://unionbrokersrl.blogspot.it/2017/01/gestione-dei-rischi-in-italia-le.html#more

Gestione dei rischi in Italia: le aziende cominciano a svegliarsi, le famiglie ancora poco

Due aziende su tre hanno un risk manager e il 62% di quelle che non ce l’hanno vorrebbero inserirlo, mentre nella vita privata delle famiglie italiane permane un diffuso atteggiamento fatalista rispetto alla tutela dagli imprevisti di vario genere e alla programmazione di coperture assicurative

Il Paese versa in condizioni difficili, in qualunque direzione ci si giri. Sul versante economico lo attanaglia feroce la più lunga crisi dal Dopoguerra; su quello ambientale si pensi ai tassi di inquinamento elevatissimi, al periodico imperversare di eventi naturali catastrofici come il recente terremoto in centro Italia, ultimo purtroppo di una lunga serie e ne sappiamo qualcosa in Emilia per drammatica esperienza diretta. Non mancano altre avversità naturali che colpiscono con regolarità, come gli smottamenti e alluvioni che investono anche aree urbanizzate (spesso con il colpevole concorso di responsabilità da parte dell’uomo per l’incuria e lo sfruttamento dissennato dei territori, per le edificazioni scellerate e così via). Più in generale in fasi di carenza di risorse si abbassa la soglia di controllo sui processi più svariati nelle attività e cala il loro tasso di affidabilità. Il panorama complessivo della vita delle persone come delle realtà infrastrutturali soffre, non aiutato da mostruosità burocratiche tipiche del nostro assetto legislativo, carichi fiscali di sfuggente interpretazione e ci fermiamo qui.

Vale la pena soffermarci direttamente invece su uno strumento utile per opporsi in parte a tali scenari critici che andrebbe adottato fra le strategie essenziali, ma che in Italia stenta ancora ad essere percepito come tale culturalmente. Ci riferiamo al tema delle coperture assicurative nelle famiglie e alle più generali strategie di gestione dei rischi in campo
aziendale, rispetto al quale i comportamenti non sono ancora così omogenei, almeno secondo quanto emerge da uno studio Eumetra Monterosa, promosso da Anra e Strategica.

L’italiano è fatalista?
Qualcuno si stupirà forse apprendendo che solo per un italiano su due è “importante” attivare coperture dai rischi a tutela della propria vita, dei propri cari e dei propri beni. Se infatti esiste l’idea di dover prestare una generica attenzione ai rischi nel 59% della popolazione, mentre il restante 41% mostra un atteggiamento più fatalista e poco reattivo, davanti al quesito se valga la pena stipulare concrete forme di assicurazione per proteggersi, un bel 48% degli intervistati ritiene inutile farlo, formulando risposte del tipo: “se deve capitare qualcosa, capita”.

Cosa spaventa peraltro gli italiani? I rischi considerati più probabili sono le patologie mediche (83%) e quello di veder calare il proprio reddito, quindi il tenore di vita (73%). Staccati il rischio di responsabilità civile (49%) e incendio (43%). Gli italiani convinti di poter restare vittime di atti di terrorismo sono infine solo il 53% e quelli che vedono un pericolo probabile nel furto della propria identità digitale il 61%.

Le aziende benino, ma…
Un poco diverso è il polso della situazione riferita al mondo del lavoro, delle imprese, dove un 84% degli interpellati ha dichiarato l’intenzione di instaurare politiche di risk management nella propria azienda. In tale contesto il tema assicurativo diventa un tassello della più complessiva politica di gestione dei rischi, sulla quale una conduzione oculata di qualsiasi azienda dovrebbe focalizzarsi. Tra le realtà ove il percorso è cominciato, nei rischi dai quali ci si vuole tutelare figurano al primo posto i danni materiali diretti ai beni dell’azienda (un rotondo 76% influenzato dal recente terremoto del centro Italia), la responsabilità civile (41%), la continuità nel business (60%), mentre un esiguo 8% degli intervistati ravvisa rischi particolari nell’utilizzo truffaldino di identità digitali. L’evento del terremoto della scorsa estate ha avuto per effetto di spostare ben un 44% del campione su di un atteggiamento di maggiore sensibilità verso i rischi legati a eventi naturali e catastrofi

I vantaggi per le aziende
I vantaggi che gli imprenditori giustamente individuano in una più attenta gestione dei rischi sono diversi e concreti: prima di tutto una stabilizzazione dei risultati attesi dalla propria attività, poi un ritorno maggiore del capitale investito e un’aumentata capacità di accesso al credito nei confronti degli istituti, per la maggior affidabilità conseguita. Ciò fa sì che oggi in Italia due aziende su tre dedichino alla gestione del rischio una figura specifica e il 62% di quelle che non ce l’hanno dichiarino l’intenzione di individuarne una. Nel 55% dei casi tali incarichi sono espressi all’interno degli uffici legali e l’indagine effettuata evidenzia come esista ancora una certa confusione fra il concetto di gestione dei rischi e le attività di tipo prettamente assicurativo.

Questi numeri non eliminano comunque il senso di una certa trascuratezza che si percepisce anche nel mondo imprenditoriale italiano rispetto a tali problematiche e all’arretratezza culturale di una concezione che tende ancora a considerare la gestione dei rischi come una commodity anziché come un servizio a valore aggiunto. Gli imprenditori devono superare l’equivoco di una visione che relega tali politiche di gestione a mere condizioni genericamente utili per fare altro di più relativo al core business, comprendendone invece la forte specificità portatrice essa stessa di vantaggi e ritorni economici diretti.