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Rinviati i termini per la stipula della polizza obbligatoria per gli avvocati

 

Rinviati i termini per la stipula della polizza obbligatoria per gli avvocati.

In accoglimento della richiesta del Consiglio Nazionale Forense, il ministero della Giustizia ha emanato un decreto ministeriale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.238 dell’11 ottobre, che prevede il rinvio di 30 giorni dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà per gli avvocati di stipulare una polizza assicurativa professionale.

La decisione è stata presa per permettere la definizione di una convenzione che il Cnf sta stringendo con una compagnia aggiudicataria di un’apposita gara indetta lo scorso settembre per – recita il titolo – una “polizza assicurativa a condizioni di particolare favore per gli Avvocati e gli Ordini Professionali, sia per la responsabilità professionale che per gli infortuni”. Al momento si lavora sul primo lotto del bando e a breve il Consiglio Nazionale Forense fornirà notizia anche sulla aggiudicazione del lotto n. 2. Si tratta di una ulteriore gara europea indetta per i servizi assicurativi per gli avvocati relativa a “infortuni completa”, con pubblicazione della polizza sul sito web www.consiglionazionaleforense.it e con possibilità di sottoscrizione on-line, così come già per la polizza compresa nel lotto n. 1 del bando “RC professionale e patrimoniale e infortuni ex-lege”.

Nella seduta amministrativa dello scorso 22 settembre, il Consiglio Nazionale Forense ha deliberato la aggiudicazione alla Compagnia AIG Europe della gara Come da comunicazione del 10 ottobre 2017 del primo lotto.

Perché una polizza professionale

Le ‘RC (acronimo di Responsabilità Civile) Professionali’ sono polizze assicurative che hanno lo scopo di coprire economicamente un rischio, in questo caso derivante dall’esercizio di un’attività professionale, nel caso in cui il professionista commetta un errore.

Quali errori può fare un professionista? svariati.

– negligenza: quando vengono trascurate per superficialità o disattenzione le regole e le modalità comuni nello svolgere un’attività.

– imprudenza: quando un’attività è svolta in modo poco prudente, avventato, impulsivo.

– imperizia: particolarmente importante per i professionisti, l’imperizia è lo svolgimento di particolari e complesse attività senza averne la capacità tecnica specifica: un esempio tratto da un caso classico di giurisprudenza è quello del chirurgo che cagiona un danno perché effettua un intervento in una branca della chirurgia in cui non ha esperienza professionale.

La colpa in cui si può incorrere ha anche diversi livelli di gravità:

– Colpa Lievissima

– Colpa lieve: quando non viene rispettata la normale diligenza richiesta ad un professionista, che comunque gravato da un onere di diligenza superiore a quella richiesta al comune cittadino.

– Colpa Grave: quando non vengono rispettate nemmeno le più elementari indicazioni di condotta, che chiunque rispetterebbe.

Medie imprese: se gestiscono il rischio, +38% di redditività

Medie imprese: se gestiscono il rischio,
+38% di redditività

Come non ci stanchiamo di ricordare, in Italia la cultura della gestione del rischio deve ancora fare passi da gigante prima di raggiungere i livelli auspicati. Se questo vale soprattutto, in termini percentuali, nel settore privato delle persone, delle famiglie, anche nel mondo produttivo dobbiamo ancora darci da fare. Un fattore determinante per far comprendere agli imprenditori l’importanza del tema Risk management è prendere consapevolezza dell’oggettività dei dati legati ai vantaggi sulla redditività che un miglioramento delle strategie al proposito produrrebbe. Le medie imprese italiane che adottano un metodo di gestione integrato e trasversale dei rischi presentano infatti una redditività maggiore del 38% rispetto a quelle che non dispongono di un sistema dedicato alla gestione del rischio.

A questo proposito vale la pena ricordare quanto emerso dall’ultima edizione dell’Osservatorio di Cineas – Consorzio Universitario fondato dal Politecnico di Milano – sulla percezione e gestione dei rischi da parte delle medie imprese, realizzata in collaborazione con Mediobanca, con il contributo di PER SpA. L’indagine ha preso in esame 280 aziende medie italiane, rilevandone un fatturato medio di 60 milioni di euro, in cui la quota dell’export ammonta al 45,5% e il numero medio dell’organico a 156 dipendenti.

“Rispetto alle scorse edizioni, nel 4° Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese – ha spiegato il presidente di Cineas, Adolfo Bertani – abbiamo cercato anche di capire come nuovi fattori quali il terrorismo, gli eventi climatici estremi e le innovazioni dell’Industria 4.0 abbiano cambiato la percezione del rischio da parte degli imprenditori italiani.”

I rischi maggiormente percepiti dagli imprenditori italiani sono quelli provenienti dal mancato rispetto di obblighi normativi, come la sicurezza sul lavoro, la responsabilità civile per difettosità del prodotto e il rispetto della normativa fiscale. Al terzo posto troviamo un’area cui gli imprenditori sono sempre più attenti, quella del cosiddetto cyber risk.

“Da segnalare con positività è il rischio reputazionale al quinto posto che nella scorsa edizione dell’Osservatorio si trovava in una posizione molto più arretrata – è stato il commento di Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca – Questo appare coerente con la già dichiarata volontà da parte delle imprese di presidiare attentamente il contenuto qualitativo delle proprie produzioni.

Il rischio di imitazione del prodotto compare in ultima posizione, poiché le imprese fanno della qualità – che leggiamo nei rischi delle prime posizioni – il principale vantaggio competitivo”.
Redditività maggiore per le aziende che guardano ai rischi più avanguardistici
I dati evidenziano non solo che le imprese più evolute dal punto di vista della gestione del rischio riportano regolarmente performance economiche (ROI) più soddisfacenti, man mano che ci si sposta verso la gestione di rischi che esulano dall’obbligatorietà legale e che riguardano leve competitive come la reputazione, le competenze specifiche, il Cyber Risk e il rischio di imitazione del prodotto l’impresa risulta più efficiente in termini economici.

Aziende del settore alimentare protagoniste nella gestione dei rischi
Il settore più virtuoso nella gestione dei rischi è senz’altro quello Alimentare, dove i maggiori presidi sono dedicati alla tutela del prodotto contro la contraffazione e alla gestione del rischio reputazionale,
coerentemente con un settore che fa dell’autorevolezza del marchio e della sua sicurezza igienico-nutrizionale i propri vantaggi competitivi. Seguono i settori Chimico-Farmaceutico e Meccanico. Relativamente arretrate invece le imprese che producono Beni per la persona e per la casa e il settore Metallurgico.

FOCUS “NUOVI RISCHI”
Terrorismo: un’impresa su tre teme per l’incolumità dei propri dipendenti

Interrogati sui rischi legati al terrorismo è emerso che l’attuale contesto di crescente incertezza geopolitica ha aumentato la preoccupazione degli imprenditori. Quasi un’impresa su tre (30,7%) teme per i propri dipendenti condizionando la loro mobilità. Le preoccupazioni salgono al 35,7% dei casi quando si parla di supply chain. Ma è sotto il profilo commerciale che le imprese avvertono i rischi maggiori di instabilità, un’impresa su due infatti (51,3%) vede in pericolo le proprie vendite per una caduta della domanda dovuta all’alterazione che il rischio terrorismo può produrre sulle abitudini di consumo dei propri clienti.

Rischi climatici estremi: il 62% delle imprese è assicurato
Un’altra tipologia di rischio su cui si è raccolta l’opinione delle imprese riguarda i rischi ambientali legati a fenomeni climatici estremi, anche qui ciò che desta maggiore preoccupazione è il profilo commerciale (33,2%), seguito dal rischio di mancata integrità del ciclo di produzione e di approvvigionamento. Sulle calamità naturali però la percezione delle ricadute è più sfumata, anche perché il 61,9% delle imprese gode di una copertura assicurativa, rispetto alla componente terroristica su cui solo il 32,6% delle aziende è assicurato.

Industria 4.0: chi ne riconosce il valore ottiene performance economiche migliori
Per quanto riguarda la percezione sulle nuove frontiere tecnologiche e il loro impatto in tema di gestione del rischio aziendale, sono stati analizzati: l’utilizzo delle forme di automazione che escludono l’intervento umano, come l’auto senza pilota; la domotica; l’uso dei droni; il mobile e-health e l’utilizzo delle stampanti 3D.
Il quadro che emerge testimonia ancora una certa diffidenza verso queste innovazioni, delle quali maggiore rilevanza viene attribuita alla domotica. Ma mettendo a confronto la valutazione sulle diverse innovazioni e la redditività, risulta che le imprese che vi hanno attribuito maggiore rilevanza, sono anche le più profittevoli.

Chi gestisce il rischio in azienda? Per ora i consulenti
Nel 76% dei casi per la realizzazione del sistema di gestione del rischio si ricorre a partner esterni, spesso di natura consulenziale. Meno frequente la presenza assicurativa (28,8%).

“Per le compagnie di assicurazione questo dato apre grandi spazi di attività nello sviluppo di servizi di consulenza alle medie imprese per la gestione del rischio – afferma Adolfo Bertani, Presidente di Cineas – Se non lo faranno le compagnie qualcun’altro coglierà questa opportunità”. (fonte: Cineas)

Gestione dei rischi in Italia: le aziende cominciano a svegliarsi, le famiglie ancora poco

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Gestione dei rischi in Italia: le aziende cominciano a svegliarsi, le famiglie ancora poco

Due aziende su tre hanno un risk manager e il 62% di quelle che non ce l’hanno vorrebbero inserirlo, mentre nella vita privata delle famiglie italiane permane un diffuso atteggiamento fatalista rispetto alla tutela dagli imprevisti di vario genere e alla programmazione di coperture assicurative

Il Paese versa in condizioni difficili, in qualunque direzione ci si giri. Sul versante economico lo attanaglia feroce la più lunga crisi dal Dopoguerra; su quello ambientale si pensi ai tassi di inquinamento elevatissimi, al periodico imperversare di eventi naturali catastrofici come il recente terremoto in centro Italia, ultimo purtroppo di una lunga serie e ne sappiamo qualcosa in Emilia per drammatica esperienza diretta. Non mancano altre avversità naturali che colpiscono con regolarità, come gli smottamenti e alluvioni che investono anche aree urbanizzate (spesso con il colpevole concorso di responsabilità da parte dell’uomo per l’incuria e lo sfruttamento dissennato dei territori, per le edificazioni scellerate e così via). Più in generale in fasi di carenza di risorse si abbassa la soglia di controllo sui processi più svariati nelle attività e cala il loro tasso di affidabilità. Il panorama complessivo della vita delle persone come delle realtà infrastrutturali soffre, non aiutato da mostruosità burocratiche tipiche del nostro assetto legislativo, carichi fiscali di sfuggente interpretazione e ci fermiamo qui.

Vale la pena soffermarci direttamente invece su uno strumento utile per opporsi in parte a tali scenari critici che andrebbe adottato fra le strategie essenziali, ma che in Italia stenta ancora ad essere percepito come tale culturalmente. Ci riferiamo al tema delle coperture assicurative nelle famiglie e alle più generali strategie di gestione dei rischi in campo
aziendale, rispetto al quale i comportamenti non sono ancora così omogenei, almeno secondo quanto emerge da uno studio Eumetra Monterosa, promosso da Anra e Strategica.

L’italiano è fatalista?
Qualcuno si stupirà forse apprendendo che solo per un italiano su due è “importante” attivare coperture dai rischi a tutela della propria vita, dei propri cari e dei propri beni. Se infatti esiste l’idea di dover prestare una generica attenzione ai rischi nel 59% della popolazione, mentre il restante 41% mostra un atteggiamento più fatalista e poco reattivo, davanti al quesito se valga la pena stipulare concrete forme di assicurazione per proteggersi, un bel 48% degli intervistati ritiene inutile farlo, formulando risposte del tipo: “se deve capitare qualcosa, capita”.

Cosa spaventa peraltro gli italiani? I rischi considerati più probabili sono le patologie mediche (83%) e quello di veder calare il proprio reddito, quindi il tenore di vita (73%). Staccati il rischio di responsabilità civile (49%) e incendio (43%). Gli italiani convinti di poter restare vittime di atti di terrorismo sono infine solo il 53% e quelli che vedono un pericolo probabile nel furto della propria identità digitale il 61%.

Le aziende benino, ma…
Un poco diverso è il polso della situazione riferita al mondo del lavoro, delle imprese, dove un 84% degli interpellati ha dichiarato l’intenzione di instaurare politiche di risk management nella propria azienda. In tale contesto il tema assicurativo diventa un tassello della più complessiva politica di gestione dei rischi, sulla quale una conduzione oculata di qualsiasi azienda dovrebbe focalizzarsi. Tra le realtà ove il percorso è cominciato, nei rischi dai quali ci si vuole tutelare figurano al primo posto i danni materiali diretti ai beni dell’azienda (un rotondo 76% influenzato dal recente terremoto del centro Italia), la responsabilità civile (41%), la continuità nel business (60%), mentre un esiguo 8% degli intervistati ravvisa rischi particolari nell’utilizzo truffaldino di identità digitali. L’evento del terremoto della scorsa estate ha avuto per effetto di spostare ben un 44% del campione su di un atteggiamento di maggiore sensibilità verso i rischi legati a eventi naturali e catastrofi

I vantaggi per le aziende
I vantaggi che gli imprenditori giustamente individuano in una più attenta gestione dei rischi sono diversi e concreti: prima di tutto una stabilizzazione dei risultati attesi dalla propria attività, poi un ritorno maggiore del capitale investito e un’aumentata capacità di accesso al credito nei confronti degli istituti, per la maggior affidabilità conseguita. Ciò fa sì che oggi in Italia due aziende su tre dedichino alla gestione del rischio una figura specifica e il 62% di quelle che non ce l’hanno dichiarino l’intenzione di individuarne una. Nel 55% dei casi tali incarichi sono espressi all’interno degli uffici legali e l’indagine effettuata evidenzia come esista ancora una certa confusione fra il concetto di gestione dei rischi e le attività di tipo prettamente assicurativo.

Questi numeri non eliminano comunque il senso di una certa trascuratezza che si percepisce anche nel mondo imprenditoriale italiano rispetto a tali problematiche e all’arretratezza culturale di una concezione che tende ancora a considerare la gestione dei rischi come una commodity anziché come un servizio a valore aggiunto. Gli imprenditori devono superare l’equivoco di una visione che relega tali politiche di gestione a mere condizioni genericamente utili per fare altro di più relativo al core business, comprendendone invece la forte specificità portatrice essa stessa di vantaggi e ritorni economici diretti.