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Agricoltura: fondi UE per le assicurazioni, ma le polizze calano

Agricoltura: fondi UE per le assicurazioni, ma le polizze calano

Guidi: «Le risorse ci sono ma lo strumento è un “mostro” e non decolla»

«Gli agricoltori si stanno disaffezionando dallo strumento assicurativo, laddove invece l’obiettivo era quello di far crescere i contratti, con il rischio anche di perdere risorse comunitarie preziose che rischiano di tornare a Bruxelles». Lo ha denunciato il presidente di Confagricoltura Mario Guidi nel corso della conferenza stampa indetta a Roma dall’Organizzazione degli imprenditori agricoli sul tema.

«Tra i paesi comunitari – ha proseguito Guidi nel suo intervento – l’Italia è uno di quelli che hanno puntato maggiormente sulle misure di prevenzione del rischio attraverso l’assicurazione agevolata dei prodotti agricoli; uno strumento in cui Confagricoltura crede fortemente e di cui ha sempre sollecitato la diffusione. D’altronde le risorse disponibili provenienti da Bruxelles sono interessanti: 1.600.000 euro per sei anni, dal 2015 al 2020, messi a disposizione del Piano di sviluppo rurale italiano».

Grandine, gelate, alluvioni, terremoti… cause di preoccupazione l’agricoltura ne ha sempre storicamente patite e con l’imprevedibilità degli eventi deve convivere. Eppure le polizze stipulate calano. «Nel 2015 è cambiato completamente il sistema di sostegno – ha osservato Guidi – passando dalla piattaforma nazionale a quella europea è stato creato un mostro. Non si è riusciti a creare un modello assicurativo che sia agevolmente fruibile. Burocrazia, errori gestionali e procedure informatiche ancora non definite per la compilazione dei piani assicurativi individuali (Pai) ritardano l’erogazione dei contributi comunitari.

E così ci troviamo che si è aperta la nuova campagna assicurativa 2017 per le produzioni agricole mentre si sta ancora provvedendo ai primi pagamenti alle aziende delle polizze agevolate che si riferiscono alle domande del 2015. In questo modo si mette in crisi pure il sistema dei consorzi di difesa (che anticipano i premi dei produttori). C’è poi – ha aggiunto ancora – il problema del sistema di regole per calcolare le rese medie che non permette alle imprese di accendere polizze con valori assicurati adeguati alle proprie esigenze. Le aziende spesso sono costrette a stipulare contratti assicurativi con valori troppo bassi rispetto alle loro potenzialità produttive; così le polizze finiscono per perdere di interesse per i contraenti».

Confagricoltura ha snocciolato i dati: in due anni si è perso il valore assicurato del 17% (-6% nel 2015 e 11,3% nel 2016). Ma, se si entra nel dettaglio dei settori, si scopre che il valore assicurato delle produzioni vegetali è sceso del 26%, con una perdita di 851 milioni di euro che ha riguardato soprattutto il Meridione, che già presentava una scarsa diffusione di polizze assicurative.

«Le nostre priorità – ha concluso il presidente di Confagricoltura Guidi – sono: una riconsiderazione delle procedure del Pai, con l’obiettivo di una reale semplificazione e snellimento del processo; una ridefinizione del sistema del calcolo delle rese medie produttive delle imprese per arrivare a una certa flessibilità ed eventualmente alla possibilità dell’applicazione di meccanismi basati su indici per aree produttive».

In sostanza, non vale da sé il fatto che vengano messe a disposizione delle risorse tout-court fissando come obiettivo il mero collocamento di determinati prodotti assicurativi predeterminati. La varietà di casistiche, condizioni, scenari che caratterizzano un settore complesso com’è quello della produzione agricola vive di connotazioni assai differenziate, ciò anche sul piano dei diversi ambiti territoriali, delle tipologie produttive e di altre molteplici variabili. Esige quindi un forte lavoro di affinamento nelle relazioni fra i soggetti preposti alla gestione delle risorse disponibili e i destinatari finali che sono gli agricoltori. I prodotti assicurativi vanno calati nei contesti differenti e personalizzati secondo le esigenze rispettive delle aziende e devono quindi in partenza configurarsi con una maggiore duttilità d’impianto, rispetto alla quale le imprese possano far valere il proprio specifico bisogno, trovando così concrete risposte e sostegno alle proprie attività.

Nel nostro territorio le criticità non mancano e alcune potrebbero suggerire anche di allargare la casistica di danni posti sotto tutela, si pensi per esempio ai furti di clamorose quantità di forme di Parmigiano-Reggiano. Anche il settore della trasformazione e lavorazione, cioè, sarebbe terreno per una politica oculata di gestione del rischio, così come pure nell’allevamento non mancherebbero i temi: i periodici casi di patologie epidemiche che colpiscono animali avicoli, bovini e altre specie (afta, peste suina, bluetongue, ecc.) ne sono un esempio.

Decreto Sicurezza: più poteri ai sindaci significa anche più azioni o inadempienze di cui saranno chiamati a rispondere

Decreto Sicurezza: più poteri ai sindaci significa anche più azioni o inadempienze di cui saranno chiamati a rispondere

Non senza una coda di polemiche è stato approvato il decreto del ministro Minniti sulla sicurezza nelle città che amplia i poteri di intervento dei sindaci su più fronti del degrado.
Il ministro ha respinto al mittente le critiche giunte verso il provvedimento anche da voci appartenenti alla sua stessa parte politica che, come nel caso di Roberto Saviano, hanno definito il testo una “legge classista e di destra”.

Da un’intervista a La Repubblica è arrivata la replica del titolare del dicastero dell’Interno: “Quindi il decreto sulla sicurezza urbana sarebbe una legge di destra… straordinario… Forse perché qualcuno non l’ha letto. Allora qualcuno mi risponda – prosegue – è di destra una legge che sottrae la definizione delle politiche della sicurezza nelle nostre città alla competenza esclusiva degli apparati, trasformando la sicurezza in bene comune e chiamando alla sua cogestione i rappresentanti liberamente eletti dal popolo, vale a dire i sindaci? È di destra un decreto che, per la prima volta nella storia repubblicana, risponde a una legittima richiesta di sicurezza con il solo strumento amministrativo, senza aumentare le pene o introdurre nuovi reati? È di destra un provvedimento che è stato scritto a quattro
mani con l’Anci, con sindaci italiani che vanno da Zedda a Nardella, da Decaro a Sala?”.

Sicurezza e decoro urbano, situazioni di grave incuria o degrado del territorio, orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio, occupazioni abusive, writer, arresto in flagranza differita di reato (rilevata da impianti di videosorveglianza), daspo (una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro e un ordine di allontanamento da dove si sia lesa la sicurezza dei luoghi e delle persone) sono i fronti di intervento che chiamano direttamente o indirettamente in causa l’azione dei sindaci. Il decreto stanzia inoltre 1.900 milioni di euro per quest’anno, 3.150 per il 2018 e 3.500 per il 2019 e 3.000 per ciascuno degli anni che vanno dal 2020 al 2032 finalizzati al recupero delle periferie. Prevede altresì di mettere le spese per la videosorveglianza fuori dal Patto di stabilità nei bilanci dei Comuni.

A chi avanza timori che i sindaci vengano trasformati in “sceriffi” Minniti risponde ricordando che essi non avranno il potere di disporre il daspo, che rimane ai questori, bensì di segnalare le aree urbane necessitanti di particolari sforzi di controllo del territorio. Ai prefetti le competenze sugli sgomberi di occupanti abusivi di immobili. I sindaci, quali rappresentanti delle comunità locali, possono ora adottare ordinanze dirette a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana.

“Le ordinanze contingibili e urgenti che il sindaco può adottare – recita il decreto – sono quelle dirette a prevenire e contrastare le situazioni che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, o fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti”.

Pur rimanendo quindi una ripartizione di competenze fra le figure dei sindaci, dei questori e dei prefetti, chiamati a stipulare dei “Patti per la sicurezza urbana” per la “prevenzione dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, la promozione del rispetto della legalità e la promozione del rispetto del decoro urbano”, l’aumento dei poteri dei sindaci espone tali cariche amministrative a possibili conseguenze giuridiche e più complessivamente “politiche” ulteriori ancora da valutare. Diventa infatti più probabile che all’interno di tutte queste numerose casistiche, molti potranno essere gli eventi riconducibili a ipotesi di un’insufficiente azione preventiva o deterrente adottata da parte dei primi cittadini. Si potranno cioè verificare casi in cui le vittime di determinati reati o disagi oggetto di questo decreto riterranno di chiamare i sindaci a rispondere personalmente di quanto subito, accusandoli di non aver ottemperato ai propri compiti previsti dal decreto stesso. Tema questo che si lega direttamente a quello della responsabilità civile ed eventualmente penale e della “colpa grave” che riguarda i detentori di cariche pubbliche, rispetto al quadro di tutele assicurative all’interno delle quali devono svolgere la propria attività amministrativa.

Quattro Pmi su cinque nel mondo temono gli impatti del “climate change” sul proprio business, mentre in Italia il rischio è ancora sottovalutato


Quattro Pmi su cinque nel mondo temono gli impatti del “climate change” sul proprio business, mentre in Italia il rischio è ancora sottovalutato

Sono stati presentati in occasione della ventiduesima Conferenza mondiale sul clima COP22 a Marrakesh gli esiti della IV indagine annuale di Zurich sulle piccole e medie imprese: lo studio aveva per oggetto la percezione dei rischi dovuti all’impatto dei cambiamenti climatici sul business. I risultati ci dicono che in Italia tale sensibilità non è ancora abbastanza diffusa, a fronte di una percezione a livello globale molto più sviluppata. L’indagine è consistita in una serie di quesiti posti ai leader di 2.600 piccole e medie imprese di tutto il mondo. Un campione rappresentativo di 200 Ceo/owners, direttori generali, Cfo, Coo in oltre 13 paesi: Australia, Austria, Brasile, Germania; Hong Kong, Irlanda, Italia, Messico, Portogallo, Spagna, Svizzera, Turchia e Stati Uniti d’America.
I risultati in Italia:

L’Italia è uno dei Paesi in cui le Pmi sottovalutano di più l’impatto di eventi climatici estremi sul proprio business: solo il 63% di esse lo considera come minaccia. Gli eventi climatici più temuti sono le forti piogge (19%) e alluvioni (18%).

Il 32% ritiene che il rischio cui prestare maggiore attenzione sia l’interruzione dell’attività aziendale, mentre il 22% delle Pmi si preoccupa per i danni materiali. Seguono i timori per l’incremento dei costi per l’acqua e l’energia (17%), l’aumento della burocrazia a causa dell’entrata in vigore di nuove normative (13%). Poche piccole e medie imprese vedono nelle politiche di contrasto al climate change una opportunità di business.
Nel mondo:

L’80% delle Pmi teme conseguenze legate a eventi climatici connessi ai cambiamenti climatici. Alluvioni (22%) e siccità (20%) sono i rischi più temuti. Danni materiali (36%),
interruzioni al business aziendale (26%) sono i rischi da cui sia più difficile proteggersi percepiti come maggiori.

In termini complessivi

A livello globale, ben quattro aziende su cinque teme l’impatto di cambiamenti climatici sul proprio business. Ai rischi succitati ne seguono altri: danni alla salute dei dipendenti (15%) e costi maggiori per l’approvvigionamento di acqua ed energia (15%).

Solo poche aziende multinazionali ritengono che una politica di contrasto al climate change possa offrire opportunità di business, mentre non ci sono aziende che vedono nel fenomeno un vero e proprio investimento.
Esistono significative differenze nella percezione del rischio climate change e del potenziale impatto che può avere il fenomeno sull’attività aziendale rispetto alle diverse aree geografiche analizzate.

L’Italia è uno dei Paesi, al pari di Svizzera e Irlanda, in cui le Pmi sottovalutano maggiormente questo tema.

Europa: le Pmi temono le alluvioni

Dando uno sguardo all’Europa, le Pmi sono, in assoluto, meno propense a considerare i cambiamenti climatici un rischio per la propria esistenza. Un quarto di esse, dato più alto registrato in tutte le aree del mondo oggetto dell’indagine, non anticipa alcun impatto negativo sulla propria attività a causa del climate change.

Fra quelle che ritengono che il climate change possa essere invece un rischio (75%), le alluvioni sono gli eventi che possono avere i più ingenti impatti sul business; mentre i danni materiali sono considerati i maggiori rischi (35%).
Cecilia Reyes, Group Chief Risk Officer di Zurich, ha dichiarato: “I risultati dell’ultima ricerca Zurich sulle PMI dimostrano che sono moltissime le aziende che si preoccupano per i rischi e gli impatti potenziali del climate change sul proprio business. Le aziende dovranno quindi implementare azioni che limitino questi rischi, ma anche identificare le opportunità di business che possano derivare dal fenomeno dei mutamenti climatici in corso.” (fonte Zurich)

Medie imprese: se gestiscono il rischio, +38% di redditività

Medie imprese: se gestiscono il rischio,
+38% di redditività

Come non ci stanchiamo di ricordare, in Italia la cultura della gestione del rischio deve ancora fare passi da gigante prima di raggiungere i livelli auspicati. Se questo vale soprattutto, in termini percentuali, nel settore privato delle persone, delle famiglie, anche nel mondo produttivo dobbiamo ancora darci da fare. Un fattore determinante per far comprendere agli imprenditori l’importanza del tema Risk management è prendere consapevolezza dell’oggettività dei dati legati ai vantaggi sulla redditività che un miglioramento delle strategie al proposito produrrebbe. Le medie imprese italiane che adottano un metodo di gestione integrato e trasversale dei rischi presentano infatti una redditività maggiore del 38% rispetto a quelle che non dispongono di un sistema dedicato alla gestione del rischio.

A questo proposito vale la pena ricordare quanto emerso dall’ultima edizione dell’Osservatorio di Cineas – Consorzio Universitario fondato dal Politecnico di Milano – sulla percezione e gestione dei rischi da parte delle medie imprese, realizzata in collaborazione con Mediobanca, con il contributo di PER SpA. L’indagine ha preso in esame 280 aziende medie italiane, rilevandone un fatturato medio di 60 milioni di euro, in cui la quota dell’export ammonta al 45,5% e il numero medio dell’organico a 156 dipendenti.

“Rispetto alle scorse edizioni, nel 4° Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese – ha spiegato il presidente di Cineas, Adolfo Bertani – abbiamo cercato anche di capire come nuovi fattori quali il terrorismo, gli eventi climatici estremi e le innovazioni dell’Industria 4.0 abbiano cambiato la percezione del rischio da parte degli imprenditori italiani.”

I rischi maggiormente percepiti dagli imprenditori italiani sono quelli provenienti dal mancato rispetto di obblighi normativi, come la sicurezza sul lavoro, la responsabilità civile per difettosità del prodotto e il rispetto della normativa fiscale. Al terzo posto troviamo un’area cui gli imprenditori sono sempre più attenti, quella del cosiddetto cyber risk.

“Da segnalare con positività è il rischio reputazionale al quinto posto che nella scorsa edizione dell’Osservatorio si trovava in una posizione molto più arretrata – è stato il commento di Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca – Questo appare coerente con la già dichiarata volontà da parte delle imprese di presidiare attentamente il contenuto qualitativo delle proprie produzioni.

Il rischio di imitazione del prodotto compare in ultima posizione, poiché le imprese fanno della qualità – che leggiamo nei rischi delle prime posizioni – il principale vantaggio competitivo”.
Redditività maggiore per le aziende che guardano ai rischi più avanguardistici
I dati evidenziano non solo che le imprese più evolute dal punto di vista della gestione del rischio riportano regolarmente performance economiche (ROI) più soddisfacenti, man mano che ci si sposta verso la gestione di rischi che esulano dall’obbligatorietà legale e che riguardano leve competitive come la reputazione, le competenze specifiche, il Cyber Risk e il rischio di imitazione del prodotto l’impresa risulta più efficiente in termini economici.

Aziende del settore alimentare protagoniste nella gestione dei rischi
Il settore più virtuoso nella gestione dei rischi è senz’altro quello Alimentare, dove i maggiori presidi sono dedicati alla tutela del prodotto contro la contraffazione e alla gestione del rischio reputazionale,
coerentemente con un settore che fa dell’autorevolezza del marchio e della sua sicurezza igienico-nutrizionale i propri vantaggi competitivi. Seguono i settori Chimico-Farmaceutico e Meccanico. Relativamente arretrate invece le imprese che producono Beni per la persona e per la casa e il settore Metallurgico.

FOCUS “NUOVI RISCHI”
Terrorismo: un’impresa su tre teme per l’incolumità dei propri dipendenti

Interrogati sui rischi legati al terrorismo è emerso che l’attuale contesto di crescente incertezza geopolitica ha aumentato la preoccupazione degli imprenditori. Quasi un’impresa su tre (30,7%) teme per i propri dipendenti condizionando la loro mobilità. Le preoccupazioni salgono al 35,7% dei casi quando si parla di supply chain. Ma è sotto il profilo commerciale che le imprese avvertono i rischi maggiori di instabilità, un’impresa su due infatti (51,3%) vede in pericolo le proprie vendite per una caduta della domanda dovuta all’alterazione che il rischio terrorismo può produrre sulle abitudini di consumo dei propri clienti.

Rischi climatici estremi: il 62% delle imprese è assicurato
Un’altra tipologia di rischio su cui si è raccolta l’opinione delle imprese riguarda i rischi ambientali legati a fenomeni climatici estremi, anche qui ciò che desta maggiore preoccupazione è il profilo commerciale (33,2%), seguito dal rischio di mancata integrità del ciclo di produzione e di approvvigionamento. Sulle calamità naturali però la percezione delle ricadute è più sfumata, anche perché il 61,9% delle imprese gode di una copertura assicurativa, rispetto alla componente terroristica su cui solo il 32,6% delle aziende è assicurato.

Industria 4.0: chi ne riconosce il valore ottiene performance economiche migliori
Per quanto riguarda la percezione sulle nuove frontiere tecnologiche e il loro impatto in tema di gestione del rischio aziendale, sono stati analizzati: l’utilizzo delle forme di automazione che escludono l’intervento umano, come l’auto senza pilota; la domotica; l’uso dei droni; il mobile e-health e l’utilizzo delle stampanti 3D.
Il quadro che emerge testimonia ancora una certa diffidenza verso queste innovazioni, delle quali maggiore rilevanza viene attribuita alla domotica. Ma mettendo a confronto la valutazione sulle diverse innovazioni e la redditività, risulta che le imprese che vi hanno attribuito maggiore rilevanza, sono anche le più profittevoli.

Chi gestisce il rischio in azienda? Per ora i consulenti
Nel 76% dei casi per la realizzazione del sistema di gestione del rischio si ricorre a partner esterni, spesso di natura consulenziale. Meno frequente la presenza assicurativa (28,8%).

“Per le compagnie di assicurazione questo dato apre grandi spazi di attività nello sviluppo di servizi di consulenza alle medie imprese per la gestione del rischio – afferma Adolfo Bertani, Presidente di Cineas – Se non lo faranno le compagnie qualcun’altro coglierà questa opportunità”. (fonte: Cineas)

Ha superato le 10.000 visualizzazioni lo spot della nuova campagna di Union Brokers

https://www.youtube.com/watch?v=qpW1ZUMNKR8

Ha superato le 10.000 visualizzazioni lo spot della nuova campagna di Union Brokers (soggetto, sceneggiatura, musica originale di Corrado Sevardi – Realizzazione VideoKis – Sound engineering musicale Francesco Cultreri – Attori: Paola Guerra, Gabriele Montanari, Liliana Boubé). https://www.youtube.com/watch?v=qpW1ZUMNKR8

Cosa fare in caso di incidente con o senza feriti, in strade normali o in autostrada

Cosa fare in caso di incidente con o senza feriti,
in strade normali o in autostrada

Quando si rimane vittime di un incidente stradale, ci sono comportamenti diversi da osservare sulla base delle dinamiche del sinistro. Nel caso le persone coinvolte non abbiano subito lesioni personali, non è per esempio strettamente necessario chiamare le Forze dell’ordine. Se le parti si trovano d’accordo nell’individuazione delle responsabilità, possono compilare il “Cid”, ossia il modulo per la constatazione amichevole. Grazie a esso si potrà ottenere il risarcimento del danno da parte dell’assicurazione in soli trenta giorni anziché sessanta. Se invece non trovate un accordo sulle colpe dell’incidente, rispetto alle norme del Codice stradale, avvierete una contestazione tramite la vostra compagnia assicurativa. Nel caso ci siano dei feriti, potete informare le forze dell’ordine e chiamare un’ambulanza. Più nel dettaglio vediamo le diverse casistiche.


Assenza di feriti
Accendete le luci di emergenza dei veicoli, indossate i giubbini fluorescenti; collocate a 100 metri il triangolo per segnalare agli altri autoveicoli l’intralcio nella sede stradale causato dai

mezzi fermi; scattate foto chiare dei veicoli così come sono e possibilmente rimuoveteli dal centro della strada; poi rimanete fuori dalle auto. Nel caso di incidente senza feriti, vi è l’obbligo dell’art. 189 comma 3 di non provocare intralcio alla circolazione.

Verificate se concordate o meno con l’altro conducente nell’interpretazione del sinistro. Se ciò avviene, compilate la prima pagina del Cid (le altre vengono impresse dalla carta copiativa) e producetelo alle compagnie assicurative interessate. Se non avete i moduli, scambiatevi i dati delle polizze mostrandoli alla controparte, i numeri delle patenti, i modelli dei veicoli coinvolti con targhe e colori e le vostre rispettive generalità. L’ideale sarebbe firmare una dichiarazione congiunta dove ognuno si prende le proprie responsabilità e ragioni per evitare fraintendimenti o successivi ripensamenti.

Se non si trova un accordo, chiamate le Forze dell’ordine le quali però, in assenza di feriti, potrebbero non intervenire ed esortarvi a svolgere i punti suddetti in autonomia. Di qui l’importanza di scattare foto circostanziate che saranno successivamente utili a chi dovrà decidere le responsabilità sulla base della documentazione fornita. Andando in causa si potrebbe arrivare anche davanti a un giudice.

Presenza di feriti in città
Dovete sempre fermarvi per prestare soccorso, altrimenti si può incorrere nei reati di fuga e omissione di soccorso. Chiamate immediatamente il 118 che vi porrà i quesiti previsti dai protocolli. Prestare assistenza non vuol dire tentare di curare il ferito, anzi, se chi ha causato il danno non ha competenze mediche, non deve muovere i contusi e tentare di curarli, soprattutto se non sono coscienti. Tantomeno può valutare se l’intervento di personale specializzato sia o no necessario. Quindi chiamatelo. È sufficiente chiedere l’intervento di un’ambulanza per assolvere l’obbligo di prestare soccorso imposto dal Codice della Strada. Volendo si può anche, in alternativa, chiamare il 112, essendo un numero capace di interfacciarsi con tutte le autorità di pubblica sicurezza e sanitarie. Nei sinistri gravi si può quindi verificare l’eventualità di non poter rimuovere i feriti né i veicoli; ottemperate sempre all’obbligo di collocare il triangolo che segnali l’ostacolo alla circolazione da essi causato.

Presenza di feriti in autostrada

Nel caso il sinistro sia avvenuto in autostrada è necessario accendere subito le luci di emergenza e possibilmente spostare i veicoli dalla sede di scorrimento stradale alla corsia d’emergenza o in una piazzola. Scendete dal veicolo non senza aver indossato i giubbini catadiottrici. Mettere a una distanza di 100 metri il triangolo e chiamare il soccorso stradale se i mezzi non sono in grado di proseguire la marcia. Essendoci dei feriti, chiamate la Polizia stradale utilizzando preferibilmente le apposite colonnine tramite le quali la vostra posizione sarà individuata con maggiore precisione che se usaste un telefonino. Diversamente utilizzerete il numero 113. Scambiatevi tutti i dati con gli altri conducenti come già descritto sopra.

Reggio Emilia: un pacchetto di tutele contro i furti in abitazione

Reggio Emilia: un pacchetto di tutele contro i furti in abitazione

Assicurazioni come partner dell’ecosistema socio-economico. Un esempio di buona pratica grazie a una partnership fra Cooperativa La Betulla e Union Brokers. Nasce la polizza gratuita contro le effrazioni per tutti i soci.

Chi ci segue avrà notato frequenti riferimenti a un cambiamento in corso nel mondo assicurativo che sta trasformando le compagnie in soggetti pronti a intervenire in aspetti sempre più vicini alle esigenze della vita quotidiana. Spesso ciò avviene secondo modalità che permettono riflessi virtuosi verso comportamenti e abitudini e trasformano le compagnie stesse in “partner dell’ecosistema socio-economico”, secondo una definizione che ci piace utilizzare.
Si pensi all’abbinamento fra polizze RC auto e scatola nera da installare sui veicoli: essa da un lato permette alle compagnie di avere nozione precisa delle dinamiche di un sinistro, spinge dall’altro il cliente a tenere condotte di guida meno pericolose, essendo queste tracciate attimo per attimo dal dispositivo. Creando di noi un “profilo conducente” buono, possiamo ottenere particolari condizioni di sconto che premiano le abitudini di guida affidabili.

Un altro esempio è quello della casa “domotica”, dove il controllo digitale evoluto di vari aspetti dell’impiantistica e delle tecnologie domestiche può abbassare i consumi e viene visto in termini positivi dalle compagnie quando si vogliano stipulare polizze sull’abitazione, per l’efficace effetto che la domotica ha anche sulla prevenzione da incidenti, effrazioni per furti e via dicendo.

A Reggio Emilia parte in queste settimane un tipico esempio di buona pratica in questo senso, che nasce da una partnership fra la struttura di consulenti assicurativi Union Brokers e la storica cooperativa La Betulla. Tutti i soci della cooperativa che ne faranno richiesta potranno infatti accedere gratuitamente a una polizza assicurativa sulla propria abitazione comprendente un pacchetto di servizi di eccezionale completezza pensati per chi abbia subito danni per furto.

Attraverso un numero verde funzionante 24 ore su 24 si potrà contare su: invio di una guardia giurata in attesa che la casa sia rimessa in sicurezza, invio di artigiani per riparazioni di eventuali danni da effrazione, una collaboratrice domestica per risistemare la casa. E ancora: spese d’albergo qualora i danni all’abitazione costringano il proprietario ad alloggiare in altra sistemazione temporaneamente e le spese per il rinnovo di documenti d’identità rubati.

La cultura della gestione del rischio non è solo un valore aggiunto delle realtà aziendali, ma deve diventarlo complessivamente nei costumi comportamentali di ognuno di noi, delle famiglie, nel privato. Union Brokers, prima azienda italiana nel settore delle consulenze assicurative ad aver ottenuto la certificazione di sistema di responsabilità sociale SA8000:2008 ha ritenuto coerente con i propri valori ispiratori farsi parte attiva in questa iniziativa e in sintonia con l’operare della Cooperativa La Betulla è pronta a favorire questo servizio che partirà dal 1° marzo di quest’anno, come già accennato, a titolo completamente gratuito per i soci destinatari.

Tutto si può assicurare

Tutto si può assicurare
L’esempio della polizza di 50 mln di dollari della Disney sull’attrice Carrie Fisher come spunto per una riflessione sulla cultura della gestione del rischio. Fino a scoprire che i player assicurativi sono sempre più votati a un ruolo di motore di prevenzione e corretti stili di vita come partner dell’ecosistema socio-economico

Carrie Fisher, amata principessa Leia (o Leila) della saga di Star Wars, è come tutti sanno mancata il 27 dicembre in conseguenza di un infarto occorsole durante un volo fra Londra e Los Angeles. Ha aggiunto struggimento per tutti il fatto che la madre, la celebre attrice Debbie Reynolds, sia spirata il giorno immediatamente successivo. Una suprema drammaturgia poetica ha voluto suggellare la fine delle due artiste in modo commovente, dando forza simbolica e rappresentativa ulteriore alla loro ultima uscita di scena.

La vicenda, nella sua spettacolarità narrativa da sequenza cinematografica, offre un risvolto che ci trasferisce di botto su un piano di tutt’altro genere, all’insegna del pragmatismo anglosassone. Il sito web londinese “Insurance Insider” ha infatti diramato una notizia, poi ripresa dal Daily Telegraph e altre testate, a proposito della polizza assicurativa da 41 milioni di sterline (circa 50 milioni di dollari) che la Disney, che possiede la Lucasfilm e il franchise di Star Wars, aveva stipulato con i Lloyds di Londra sulla vita dell’attrice scomparsa.


Legata da decenni alle vicende dell’epopea concepita da George Lucas – che ne ha venduto i diritti alla Disney nel 2012 per 4 miliardi di dollari, dissentendo da come il colosso produttivo voleva sviluppare i successivi episodi – Carrie Fisher rappresentava un elemento iconico troppo forte: se per qualche motivo non avesse potuto continuare a legare la propria figura alla saga, secondo la Disney avrebbe messo a rischio la tenuta in termini di suggestione e attrattiva verso i fan dei futuri episodi previsti.

Di qui la decisione di stipulare una polizza ad hoc che fa venire in mente altre simili coperture che il mondo assicurativo permette, come quella del cosiddetto “uomo chiave” che grandi aziende possono attivare “sulla testa” diciamo così di qualche figura fondamentale del proprio staff, o vengono accese sull’attività di campioni dello sport appartenenti a prestigiose società e via dicendo.

Gestione del rischio, un cambiamento epocale

Il concetto è insomma “tutto si può assicurare”. Al punto che in certi paesi esteri sono possibili addirittura polizze assicurative che coprono per esempio le spese legali e risarcitorie comminate a criminali riconosciuti colpevoli di determinati reati, o ad aziende ree di attività illegali non conformi alle norme e procedure.

Il mondo assicurativo offre cioè un fronte di possibili tutele sempre più variegato e capace di rispondere a molte esigenze di sicurezza e qualità della vita delle persone, dei soggetti aziendali, istituzionali, della società. In Italia la cultura del “Risk management”, la gestione del rischio, deve ancora fare molta strada. Deve aumentare la consapevolezza dell’importanza di determinati strumenti che le compagnie possono mettere a disposizione della clientela, poiché esse stanno diventando sempre più soggetti attenti ad aspetti sostanziali della vita delle persone, dell’esistenza, nell’ottica del servizio. In un modo cioè che porta ricadute positive anche a monte del verificarsi di determinati fatti critici e sinistri, direttamente sulla qualità della vita e delle prassi della nostra quotidianità, in chiave quindi anche preventiva e migliorativa. Il mondo assicurativo si sta evolvendo e si propone sempre più come vero e proprio partner dell’ecosistema socio-economico. Un’evoluzione che porterà quindi a valorizzare anche la prevenzione, indirizzando abitudini e comportamenti virtuosi e stili di vita più sani.

Gestione dei rischi in Italia: le aziende cominciano a svegliarsi, le famiglie ancora poco

http://unionbrokersrl.blogspot.it/2017/01/gestione-dei-rischi-in-italia-le.html#more

Gestione dei rischi in Italia: le aziende cominciano a svegliarsi, le famiglie ancora poco

Due aziende su tre hanno un risk manager e il 62% di quelle che non ce l’hanno vorrebbero inserirlo, mentre nella vita privata delle famiglie italiane permane un diffuso atteggiamento fatalista rispetto alla tutela dagli imprevisti di vario genere e alla programmazione di coperture assicurative

Il Paese versa in condizioni difficili, in qualunque direzione ci si giri. Sul versante economico lo attanaglia feroce la più lunga crisi dal Dopoguerra; su quello ambientale si pensi ai tassi di inquinamento elevatissimi, al periodico imperversare di eventi naturali catastrofici come il recente terremoto in centro Italia, ultimo purtroppo di una lunga serie e ne sappiamo qualcosa in Emilia per drammatica esperienza diretta. Non mancano altre avversità naturali che colpiscono con regolarità, come gli smottamenti e alluvioni che investono anche aree urbanizzate (spesso con il colpevole concorso di responsabilità da parte dell’uomo per l’incuria e lo sfruttamento dissennato dei territori, per le edificazioni scellerate e così via). Più in generale in fasi di carenza di risorse si abbassa la soglia di controllo sui processi più svariati nelle attività e cala il loro tasso di affidabilità. Il panorama complessivo della vita delle persone come delle realtà infrastrutturali soffre, non aiutato da mostruosità burocratiche tipiche del nostro assetto legislativo, carichi fiscali di sfuggente interpretazione e ci fermiamo qui.

Vale la pena soffermarci direttamente invece su uno strumento utile per opporsi in parte a tali scenari critici che andrebbe adottato fra le strategie essenziali, ma che in Italia stenta ancora ad essere percepito come tale culturalmente. Ci riferiamo al tema delle coperture assicurative nelle famiglie e alle più generali strategie di gestione dei rischi in campo
aziendale, rispetto al quale i comportamenti non sono ancora così omogenei, almeno secondo quanto emerge da uno studio Eumetra Monterosa, promosso da Anra e Strategica.

L’italiano è fatalista?
Qualcuno si stupirà forse apprendendo che solo per un italiano su due è “importante” attivare coperture dai rischi a tutela della propria vita, dei propri cari e dei propri beni. Se infatti esiste l’idea di dover prestare una generica attenzione ai rischi nel 59% della popolazione, mentre il restante 41% mostra un atteggiamento più fatalista e poco reattivo, davanti al quesito se valga la pena stipulare concrete forme di assicurazione per proteggersi, un bel 48% degli intervistati ritiene inutile farlo, formulando risposte del tipo: “se deve capitare qualcosa, capita”.

Cosa spaventa peraltro gli italiani? I rischi considerati più probabili sono le patologie mediche (83%) e quello di veder calare il proprio reddito, quindi il tenore di vita (73%). Staccati il rischio di responsabilità civile (49%) e incendio (43%). Gli italiani convinti di poter restare vittime di atti di terrorismo sono infine solo il 53% e quelli che vedono un pericolo probabile nel furto della propria identità digitale il 61%.

Le aziende benino, ma…
Un poco diverso è il polso della situazione riferita al mondo del lavoro, delle imprese, dove un 84% degli interpellati ha dichiarato l’intenzione di instaurare politiche di risk management nella propria azienda. In tale contesto il tema assicurativo diventa un tassello della più complessiva politica di gestione dei rischi, sulla quale una conduzione oculata di qualsiasi azienda dovrebbe focalizzarsi. Tra le realtà ove il percorso è cominciato, nei rischi dai quali ci si vuole tutelare figurano al primo posto i danni materiali diretti ai beni dell’azienda (un rotondo 76% influenzato dal recente terremoto del centro Italia), la responsabilità civile (41%), la continuità nel business (60%), mentre un esiguo 8% degli intervistati ravvisa rischi particolari nell’utilizzo truffaldino di identità digitali. L’evento del terremoto della scorsa estate ha avuto per effetto di spostare ben un 44% del campione su di un atteggiamento di maggiore sensibilità verso i rischi legati a eventi naturali e catastrofi

I vantaggi per le aziende
I vantaggi che gli imprenditori giustamente individuano in una più attenta gestione dei rischi sono diversi e concreti: prima di tutto una stabilizzazione dei risultati attesi dalla propria attività, poi un ritorno maggiore del capitale investito e un’aumentata capacità di accesso al credito nei confronti degli istituti, per la maggior affidabilità conseguita. Ciò fa sì che oggi in Italia due aziende su tre dedichino alla gestione del rischio una figura specifica e il 62% di quelle che non ce l’hanno dichiarino l’intenzione di individuarne una. Nel 55% dei casi tali incarichi sono espressi all’interno degli uffici legali e l’indagine effettuata evidenzia come esista ancora una certa confusione fra il concetto di gestione dei rischi e le attività di tipo prettamente assicurativo.

Questi numeri non eliminano comunque il senso di una certa trascuratezza che si percepisce anche nel mondo imprenditoriale italiano rispetto a tali problematiche e all’arretratezza culturale di una concezione che tende ancora a considerare la gestione dei rischi come una commodity anziché come un servizio a valore aggiunto. Gli imprenditori devono superare l’equivoco di una visione che relega tali politiche di gestione a mere condizioni genericamente utili per fare altro di più relativo al core business, comprendendone invece la forte specificità portatrice essa stessa di vantaggi e ritorni economici diretti.

Superate le 5.000 visualizzazioni su YouTube del nuovo video per la campagna Union Brokers “Serenità assicurata”

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Un successo di gradimento per lo spot visibile in questi mesi anche in alcuni circuiti cinematografici

Soggetto, sceneggiatura, musica originale: Corrado Sevardi_Sevardi Communication.
Realizzazione: VideoKis
Attori: Paola Guerra, Gabriele Montanari, Liliana Boubé
Sound engineering: Francesco Cultreri