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Polizze per veicoli aziendali: scegliere è materia per esperti

 

Polizze per veicoli aziendali: 

scegliere è materia per esperti
Le aziende che possiedono un parco veicoli devono affrontare il difficile passo di individuare la miglior polizza presente sul mercato per assicurarli, in un moltiplicarsi di problematiche che si aggiungono a quelle che normalmente deve affrontare un proprietario d’auto privata. Problematiche più insidiose di quanto la moda del “fai da te” online oggi così diffusa possa lasciar presupporre ai profani della materia.

Districarsi in questo difficile e vasto mondo viene infatti da alcuni definito una “impresa epica” e per un’azienda, che si trova in quel momento a rivestire il ruolo di cliente delle compagnie in un rapporto B2B (Business to business), il fronte di aspetti da considerare è vastamente complesso, materia per professionisti insomma.

 
Qual è la soluzione?
Rispetto al privato, restano validi principi come il mantenimento delle classi di merito se i conducenti sono i medesimi – cosa possibile anche nel caso alla polizza aziendale se ne voglia aggiungere una per un veicolo personale – e la comodità di prevedere scadenze uguali per contratti stipulati successivamente al primo.

Naturalmente sulla polizza dovranno essere specificate le generalità dell’utilizzatore del veicolo, che può essere un dipendente, anche a tutela del datore di lavoro in caso di responsabilità nei sinistri. Il conducente effettivo infatti è il responsabile degli eventuali danni provocati, intenzionalmente o in casi di negligenza.

Lo specifico del contesto lavorativo solleva altri elementi che entrano nella parametrizzazione di costi e condizioni, si pensi alla rischiosità insita nell’attività lavorativa in sé, che può cambiare da azienda ad azienda, da settore a settore: se il lavoro è ad alto rischio di incidenti la responsabilità gravante nei confronti del conducente sarà minore. Ma anche la capacità oggettiva del conducente può essere una variabile, in più connessa a eventuali percorsi formativi previsti o meno dall’azienda stessa per evitare concorsi di colpa; inoltre possono incidere sul premio la situazione finanziaria dei datori di lavoro e dei dipendenti conducenti i veicoli, oltre allo stipendio di questi ultimi.

In tempi recenti, sono aumentate le polizze anche per i liberi professionisti, cosa che amplia la casistica di tipologie presenti sul mercato, complicando peraltro la scelta di quella più idonea per le rispettive esigenze di questo o quel soggetto stipulante. Anche perché sono molte le personalizzazioni possibili offerte dalle diverse compagnie. Per molteplici motivi quindi è consigliabile per aziende e professionisti affidarsi alla consulenza di figure esperte del settore, che saranno in grado di analizzare e valutare le specifiche esigenze di ognuno per individuare fra tutte le offerte del mercato i tipi di polizze più convenienti nel rapporto qualità prezzo e più idonei a offrire le coperture e tutele effettivamente necessarie.

Dalla rete opportunità ma anche molti rischi e le contromisure tecnologiche non bastano

Dalla rete opportunità ma anche molti rischi e le contromisure tecnologiche non bastano.

L’importanza di un’adeguata tutela assicurativa

L’ingresso del web nella vita di tutti noi ha rappresentato dagli anni Novanta una progressiva rivoluzione copernicana in moltissimi aspetti del nostro quotidiano, sia nelle attività professionali che di studio e di svago; ha modificato e sta modificando i nostri costumi nelle relazioni, negli acquisti, nelle convinzioni politiche. Non esistono probabilmente aspetti della vita moderna che possano dirsi completamente esenti da qualche interazione con le nuove tecnologie e con la rete.

I testi sacri, nonché le linee guida internazionali nella “Gestione del rischio” identificano cinque grandi famiglie di criticità da tenere sotto controllo: rischi operativi, rischi finanziari, rischi strategici, rischi organizzativi, rischi di pianificazione aziendale e di reporting.

I rischi derivanti dal web, cosiddetti “cyber risk”, proprio in virtù di quanto dicevamo in apertura di articolo, possono trasversalmente riguardare tutte le cinque suddivisioni tradizionali suddette, configurandosi come una sorta di “macro-categoria” determinata dall’evoluzione tecnologica.

Più precisamente, il rischio informatico può essere definito come il rischio di danni economici (rischi diretti) e di reputazione (rischi indiretti) derivanti dall’uso della tecnologia, intendendosi con ciò sia i rischi impliciti nella tecnologia (i cosiddetti rischi di natura endogena) che i rischi derivanti dall’automazione, attraverso l’uso della tecnologia, di processi operativi aziendali (i cosiddetti rischi di natura esogena).

I rischi propriamente detti di natura endogena sono:

· Naturali: incendi, calamità naturali, inondazioni, terremoti.

· Finanziari: variazione dei prezzi e dei costi, inflazione.

· Strategici: concorrenza, progressi scientifici, innovazioni tecnologiche.

· Errori umani: modifica e cancellazione dei dati, manomissione volontaria dei dati.

Quelli di natura esogena, o di natura operativa, sono invece i rischi connessi alle strutture informatiche che compongono i sistemi. E cioè:

· Danneggiamento di hardware e software.

· Errori nell’esecuzione delle operazioni nei sistemi.

· Malfunzionamento dei sistemi.

· Programmi indesiderati.

Quali ne possono essere le cause? I programmi “virus”, concepiti per insinuarsi nelle funzioni dei sistemi informatici, ma anche le truffe informatiche e dobbiamo estendere la casistica anche ad aberranti tipologie come la pedopornografia, il cyberbullismo, i ricatti a sfondo sessuale derivanti da video chat on line.

Ne deriva che siamo oggi chiamati a una presa di coscienza, a un adeguamento culturale che faccia maturare una piena consapevolezza del concetto di sicurezza informatica, l’unica che possa davvero metterci al riparo da sgradevoli sorprese.

Le statistiche sono impietosamente inquietanti: ogni giorno vengono compiuti migliaia di attacchi informatici attraverso le tecniche più varie e termini come malware, ransomware, trojan horse, account cracking, phishing, 0-dayvulnerability sono diventati parte del vocabolario anche per i non esperti.

J. Edgar Hoover, capo dell’FBI (Federal Bureau of Investigation) moltissimi anni fa affermava: “L’unico computer a prova di hacker è quello spento, non collegato a Internet e chiuso a chiave in una cassaforte”. Possiamo dire che sia così davvero. Purtroppo, appena un computer viene acceso diventa potenzialmente vulnerabile e può essere attaccato, ad esempio durante l’installazione di eventuali aggiornamenti al sistema operativo. Ne avete appena fatto uno? Non vorremmo mettervi qualche preoccupazione addosso, ma…

Sono insomma necessarie delle contromisure specifiche, professionali, estese, ben concepite. Quelli che un tempo chiamavamo i “calcolatori”, i computer che entrano in ogni aspetto della nostra vita e dell’attività di aziende, enti, professionisti, oltre alle reti di telecomunicazione, necessitano di protezione anche se come in qualsiasi ambiente la sicurezza assoluta non è concretamente realizzabile.

Il modo per proteggersi è imparare a riconoscere le origini del rischio. Gli strumenti di difesa informatica sono molteplici, si pensi antivirus, antispyware, blocco popup, firewall ecc., ma tuttavia non sempre si rivelano efficienti, in quanto esistono codici malevoli in grado di aggirare facilmente le difese, anche con l’inconsapevole complicità degli stessi utenti.

Di recente si sta assistendo alla nascita di una nuova modalità di prevenzione del rischio informatico: il Trusted Computing. L’espressione inglese Trusted Computing (TC, letteralmente informatica fidata o calcolo fidato) si riferisce ad una tecnologia nascente con l’obiettivo dichiarato di rendere dispositivi come computer o telefoni cellulari più sicuri mediante l’uso di opportuni hardware o software.

Il TC si basa sull’uso della crittografia. Dunque l’obiettivo del TC non è quello di introdurre nuovi strumenti software per fronteggiare i rischi ed attacchi connessi a sistemi informatici e a reti di telecomunicazioni, ma bensì di costruire sistemi hardware o software non abilitati a determinate funzioni in grado di comprometterne la sicurezza, nonché il controllo attraverso Internet, del rispetto delle limitazioni di funzionalità da parte degli utenti dei sistemi.

Il Risk management

Un altro aspetto di notevole importanza del rischio informatico e di interesse per gli studi professionali su cui dobbiamo soffermare la nostra attenzione è il risk management.

Si tratta di quel processo attraverso il quale si misura o si stima il rischio e successivamente si sviluppano le strategie per fronteggiarlo.

La gestione del rischio, così come descritto nella Convenzione Interbancaria per i problemi dell’Automazione (CIPA) nel rapporto sul rischio informatico si articola in diverse fasi:

· Identificazione del rischio;

· Individuazione delle minacce;

· Individuazione dei danni che possono derivare dal concretizzarsi delle minacce e la loro valutazione;

· Identificazione delle possibili contromisure per contrastare le minacce arrecate alle risorse informatiche.

Diverse sono le modalità di gestione del rischio. A seconda del livello di rischio che un soggetto sia esso un’azienda, persona o ente ritiene accettabile si distinguono:

· Evitare: si modificano i processi produttivi, modalità di gestione ed amministrazione con lo scopo di eliminare il rischio.

· Trasferire il rischio ad un altro soggetto: il trasferimento del rischio avviene nei confronti di assicurazioni, partner e si tratta principalmente di rischi economici perché più facilmente quantificabili.

· Mitigare: consiste nel ridurre, attraverso processi di controllo e verifica, la probabilità del verificarsi del rischio o nel limitarne la gravità delle conseguenze nel caso in cui si verifichino.

· Accettare: ossia assumersi il rischio ed i relativi costi.

Dobbiamo quindi affidarci a professionisti preparati per fornire tutti questi requisiti tecnici operativi, ma altrettanto importante è considerare anche l’impossibilità di poter evitare al cento per cento le probabilità di qualche falla e considerare assolutamente anche strategie assicurative adeguate, per limitare i danni che possono derivare dal malfunzionamento dei nostri sistemi, della gestione di dati sensibili della clientela, dell’erogazione di servizi e prestazioni peculiari delle nostre attività.

Polizze online: scoperti altri siti truffa

Polizze online: scoperti altri siti truffa

La denuncia è dell’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni. Il fai da te sulla rete non è mai privo di insidie

Ancora casi di polizze truffaldine vendute online. A denunciarlo è l’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle attività assicurative, che in un recente comunicato stampa ha diffuso la notizia. Non si tratta del primo caso e con grande probabilità neanche dell’ultimo.

Nella sua nota l’IVASS rende noto “che è stata segnalata la commercializzazione di polizze r.c. auto contraffatte, anche aventi durata temporanea, per il tramite dei siti internet www.polizza4mesi.com e www.reassicurazioni.it, che non sono riconducibili ad alcun intermediario assicurativo iscritto nel Registro.

Pertanto l’attività di intermediazione assicurativa svolta attraverso tali siti è irregolare”.
L’IVASS raccomanda sempre “di adottare le opportune cautele nella sottoscrizione tramite
internet di contratti assicurativi, soprattutto se di durata temporanea, verificando, prima della sottoscrizione dei contratti, che gli stessi siano emessi da imprese e tramite intermediari regolarmente autorizzati allo svolgimento dell’attività assicurativa e di intermediazione assicurativa”.

Come difendersi


Per fare questo è possibile consultare direttamente il sito www.ivass.it che reca gli elenchi delle imprese italiane ed estere ammesse ad operare in Italia (elenchi generali ed elenco specifico per la r.c. auto); l’elenco degli avvisi relativi ai casi di contraffazione o società non autorizzate e ai siti internet non conformi alla disciplina sull’intermediazione già riscontrati;
Nel sito dell’Ivass è inoltre reperibile il Registro unico degli intermediari assicurativi e l’Elenco degli intermediari dell’Unione Europea.

Quando navigate alla ricerca di polizze online sapete di esporvi a molte insidie rappresentate dalla presenza sul web, insieme a molte realtà certificate e affidabili, di soggetti altri dediti a pratiche meno limpide e truffaldine. Come l’Ivass ricorda, in tutti i siti assicurativi della rete tutti coloro che esercitano l’attività di intermediazione di polizze devono sempre indicare:

a) i dati identificativi dell’intermediario;
b) l’indirizzo della sede, il recapito telefonico, il numero di fax e l’indirizzo di posta elettronica;
c) il numero e la data di iscrizione al Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi nonché l’indicazione che l’intermediario è soggetto al controllo dell’IVASS.

Per gli intermediari dello Spazio Economico Europeo (SEE) abilitatati a operare in Italia il sito internet deve riportare, oltre ai dati identificativi e ai recapiti sopra indicati, anche l’indicazione dell’eventuale sede secondaria, nonché la dichiarazione del possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’attività in Italia con l’indicazione dell’Autorità di vigilanza dello Stato membro di origine.

I siti o i profili Facebook (o di altri social network) che non contengono le informazioni sopra riportate non sono conformi alla disciplina in tema di intermediazione assicurativa ed espongono il consumatore al rischio di stipulare polizze contraffatte.

Nel caso vogliate richiedere ulteriori chiarimenti e informazioni potete contattare il Contact Center dell’IVASS al numero verde 800-486661 dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 14.30.

Attacchi informatici: aziende e istituzioni italiane ancora poco connesse e poco protette



Attacchi informatici: aziende e istituzioni italiane ancora poco connesse e poco protette

Biffi: “siamo ancora totalmente impreparati a gestire reti nelle quali accedono e sono connessi ormai, per la cosiddetta “internet delle cose”, infiniti oggetti anche della nostra vita quotidiana, come frigoriferi, tostapane e automobili”


I dati sugli attacchi cibernetici stanno mostrando una preoccupante escalation che coinvolge aziende, liberi professionisti e privati in scenari sempre più a rischio. Se n’è occupata anche una recente tavola rotonda organizzata da Insurance review, soggetto editoriale che con la propria attività enuclea tutte le tematiche legate al mondo assicurativo e alla gestione del rischio elaborandole per veicolarle a tutti i potenziali soggetti a vario titolo interessati.

Come si evince dalla relazione pubblicata a proposito dell’incontro dedicato specificamente ai pirati informatici “i recenti casi di Petya e Wannacry mostrano una preoccupante escalation degli attacchi cibernetici. Ma le imprese italiane stanno gestendo questa minaccia spinte più dagli incentivi pubblici che da una reale sensibilità sul tema. Il tutto mentre sul mercato arriveranno milioni di oggetti, connessi alla rete, non dotati di adeguati sistemi di protezione”.

Come già ricordato anche in questo blog la scorsa settimana a proposito delle difficoltà subite dal colosso delle spedizioni americano Fedex, dopo l’attacco che ha colpito la controllata TNT, “il 27 giugno scorso il virus informatico Petya, partito dalla Russia, si è diffuso a macchia d’olio in tutta Europa colpendo e disattivando centinaia di computer, rendendo inaccessibili i file e chiedendo un riscatto di 300 dollari in Bitcoin per liberarli. Una richiesta simile a quella del ransomware Wannacry che lo scorso maggio aveva infettato migliaia di computer in oltre 150 Paesi. Dalla pubblica amministrazione alla piccola impresa – riferisce Insurance Review con i dati ricordati nella tavola rotonda – fino ad arrivare alle grandi multinazionali, nessuno sembra essere indenne da una minaccia che, in questo momento, più che un rischio che si sta gestendo assomiglia a una spada di Damocle pronta a colpire”.

Purtroppo davanti a queste minacce non si può dire che il mondo imprenditoriale sia sufficientemente preparato. Lo ha ricordato Umberto Rapetto, già generale della Guardia di Finanza e oggi cyber security advisor. “Spesso si parla di questo tema con una visione quasi mistica. Eppure dovremmo riflettere sul fatto che probabilmente servirebbe una Rc obbligatoria anche per questa tipologia di rischi. Non si tratta solo di una prospettiva di risarcimento danni: per essere assicurabili bisogna innanzitutto dimostrare di aver adottato determinate procedure di sicurezza”. Lo ha ribadito anche Tomaso Mansutti, amministratore delegato della Mansutti: “nell’intero processo di risk management l’assicurazione affronta la parte finale ma compito degli assicuratori è quello di accompagnare l’impresa in tutto il processo di analisi dei rischi”. Esemplare è il caso proprio di Fedex, che ha ammesso in un proprio comunicato di non aver predisposto una polizza assicurativa per tutelarsi dai rischi di pirateria informatica, cosa che ha avuto ripercussioni fin sulle quotazioni del proprio titolo in borsa.

Incentivi per il 4.0

Siamo al paradosso, l’Italia ha fin ora subito un numero minore di attacchi poiché mediamente le sue aziende e istituzioni sono meno connesse rispetto ad altre realtà nazionali. Lo ha affermato lo stesso Rapetto. Né i recenti casi di Petya e Wannacry sembrano aver destato particolari reazioni significative per correre ai ripari. Pare che la priorità al momento sia invece quella di correre ad accaparrarsi i finanziamenti pubblici previsti per chi realizza un impianto connesso 4.0”. Questo è stato sottolineato nel corso della tavola rotonda da Alvise Biffi, coordinatore advisory board cyber security di Assolombarda e vicepresidente di Piccola industria – Confindustria nazionale. Facilitazione fiscale per la quale peraltro ha dichiarato che il legislatore abbia dato una finestra di tempo molto stretta tra produzione e consegna del prodotto per l’ottenimento dei benefici.

Secondo Biffi siamo ancora totalmente impreparati a gestire reti nelle quali accedono e sono connessi ormai, per la cosiddetta “internet delle cose”, infiniti oggetti anche della nostra vita quotidiana, come frigoriferi, tostapane e automobili. Da ognuno di questi dispositivi è in linea teorica possibile accedere a reti di server diffondendo virus e mettendo in ginocchio interi sistemi complessi. Esemplare il caso dell’attacco che ha messo fuori uso i siti web di colossi come Amazon e PayPal. “Quell’attacco, che si è tradotto in un intasamento del traffico informatico, era partito proprio da frigoriferi, tostapane e telecamere di sorveglianza: oggetti per i quali non erano state pensate misure di sicurezza”.

Allo stato delle cose quindi, fra i requisiti di garanzia che ogni brand oggi deve offrire al proprio mercato in termini di affidabilità e sicurezza – in tutti i settori – rientra ormai imprescindibile una copertura assicurativa sulla pirateria informatica, personalizzata secondo lo specifico di ogni attività, dall’industria pesante ai servizi, dalle libere professioni all’artigianato. (fonte: Insurance Review)

Attacco informatico, Fedex non era assicurata, ripercussioni anche per il titolo in borsa


Attacco informatico, Fedex non era assicurata, ripercussioni anche per il titolo in borsa


La gestione dei rischi dalla rete è ormai una priorità per aziende e professionisti

Un colosso mondiale delle spedizioni come Fedex in sofferenza in borsa a causa di una violazione informatica dei propri sistemi? Pare di sì. Ci offre l’occasione di parlare di questo importante argomento una comunicazione di queste ore del grande player dei corrieri. L’attacco hacker “Petya” partito il 27 giugno scorso dall’Ucraina e che ha colpito varie aziende tra cui il gruppo petrolifero russo Rosneft, il colosso pubblicitario britannico Wpp e quello danese delle spedizioni Maersk potrebbe infatti avere un impatto anche finanziario su FedEx, poiché la sua controllata TNT Express ne è rimasta colpita.

Nei giorni scorsi FedEx ha fornito un aggiornamento ribadendo la gravità dell’intrusione informatica subita e comunicando che i propri clienti “stanno ancora vivendo ritardi”. In un documento depositato presso l’autorità di Borsa Usa, il gruppo ha spiegato di avere avuto “una perdita di ricavi a causa di volumi in ribasso per TNT e costi in aumento associati all’implementazione di piani di emergenza e riparazione dei sistemi colpiti”. Oltre a non sapere quando le cose potranno essere normalizzate, Fedex ha dichiarato di non avere alcuna assicurazione per proteggersi dal cyber-attacco subito. Avete capito bene. Il risultato è che anche il titolo FedEx ha avuto ripercussioni quando da inizio anno aveva guadagnato il 14% circa e negli ultimi 12 quasi il 33%.

Sicurezza informatica: un’emergenza

Il tema della sicurezza informatica deve entrare assolutamente nella cultura aziendale della gestione del rischio. Nel 2016, 8 aziende su 10 hanno subito attacchi e le compagnie assicurative stanno sviluppando prodotti all’uopo per affrontare questa emergenza.

Secondo “Insurtech Report 2016” di Burnmark, la cyber security è uno dei driver che nei prossimi anni spingeranno maggiormente la crescita di assicurazioni e insurtech. In questi ultimi anni, dice infatti il report, le assicurazioni per la cyber security sono cresciute moltissimo come dimensione del mercato e fatturato, nonostante si trattasse ancora di un settore in cui entrare con i piedi di piombo per le compagnie, viste le oggettive difficoltà a prevedere, contenere, gestire gli attacchi informatici. Sono ancora pochi i dati storici necessari per stabilire un pricing corretto delle polizze e vi è una grande variazione di anno in anno nel tipo di attacchi informatici e danni che le aziende si trovano ad affrontare di più.

La criminalità informatica costa annualmente alla società dai 330 ai 500 miliardi di dollari, e questi costi cresceranno con il crescere della digitalizzazione e dell’integrazione digitale di tutta la supply chain delle organizzazioni aziendali. In tale contesto, il mercato globale per la cyber insurance è stimato possa raggiungere almeno i 20 miliardi di dollari in premi sottoscritti entro il 2025.

Burnmark riferisce tuttavia che ancora oltre il 50% delle compagnie non ha nessuna polizza dedicata, fatto che rende centrale il ruolo di interfaccia dei broker assicurativi per supportare sia l’acculturazione aziendale verso queste tematiche che la loro possibilità di individuare prodotti rispondenti alle loro esigenze di sicurezza.

Perché assicurarsi

Una tutela assicurativa permette di sopportare i costi derivanti dai danni causati alle terze parti per le quali l’azienda è civilmente responsabile: si può trattare per esempio di costi legali, dei costi per notificare i consumatori circa le violazioni dei dati che hanno portato il rilascio di informazioni private, di costi per il ripristino della situazione pre-attacco o per la fornitura di servizi di monitoraggio del credito, di costi per attività di pubbliche relazioni e campagne pubblicitarie per ricostruire la reputazione dell’azienda.

Alcune polizze possono anche arrivare a coprire la responsabilità degli amministratori e manager aziendali o l’interruzione di attività derivante da un attacco che può diminuire le entrate, così come le perdite subite per attacchi cosiddetti “ransomware” (in aumento) attraverso i quali gli hacker realizzano di fatto un’estorsione, mettendo (o minacciando) il black-out dei sistemi di un’azienda se non si paga una somma di denaro.

L’intensificarsi di questo fenomeno sta causando una emergenza non ancora sufficientemente avvertita da tutti i soggetti del mondo imprenditoriale e delle libere professioni. La tendenza è ancora in molti casi ad affrontare i problemi quando sono già scoppiati. La gestione del rischio è invece per definizione un insieme di strategie tese a prevenire gli scenari e le criticità. I vantaggi finali nel medio e lungo periodo sono ormai statisticamente dimostrati nell’oggettiva concretezza dei bilanci, della credibilità e autorevolezza dell’immagine aziendale e professionale, degli andamenti borsistici. Chi non saprà cogliere la valenza prioritaria di queste tematiche rischia di doversene pentire amaramente in un domani molto prossimo. (fonti Ansa – Radiocor – InsuranceUp)

Sei un non udente? Questo video ti spiega gli aggiornamenti del 2017 al Codice della strada

Sei un non udente? Questo video ti spiega gli aggiornamenti del 2017 al Codice della strada.
 
 
Il Decreto Legge 24 aprile 2017 n.SO (legge di conversione n.96 del 21 giugno 2017) introduce modifiche al Codice della Strada (Decreto Legislativo 285 l 1992), alcune già recepite dal testo del codice, altre destinate a essere introdotte con provvedimenti e decreti successivi, relativi a: la revisione dei veicoli, l’obbligo di registrazione dei chilometri, il rilevamento della mancata copertura assicurativa attraverso dispositivi elettronici automatici, la sospensione della patente per chi utilizza il telefonino l smartphone al volante.

Polizze vita “dormienti”: almeno 4 mld di euro non liquidati dalle compagnie a eredi ignari

 
 

Polizze vita “dormienti”: almeno 4 mld di euro non liquidati dalle compagnie a eredi ignari

Sapete cos’è una “polizza dormiente”? In questi giorni se ne parla poiché un’indagine dell’Ivass, l’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni, ha determinato che in Italia ce ne sono almeno 4 milioni. Si tratta in sostanza di polizze vita stipulate da clienti di compagnie assicurative che per un motivo o per l’altro non sono ancora state liquidate quando dovrebbero esserlo. Stimando un importo medio di almeno mille euro a polizza, si tratta di almeno 4 miliardi in attesa di essere riconosciuti ai legittimi destinatari, ma potrebbero essere molti di più. I titolati a ricevere questo denaro non lo sanno però, si tratta per esempio di figli o parenti di un assicurato passato a miglior vita.

«Da una nostra indagine – afferma il presidente di Ivass Salvatore Rossi – emerge che circa 4 milioni di polizze Vita sono scadute negli ultimi cinque anni, ma non sono state liquidate, perché le compagnie non sanno se l’assicurato è o no deceduto prima della scadenza della polizza: molto spesso i beneficiari non si fanno avanti perché non sanno di esserlo e nella polizza sono indicati in modo generico, ad esempio come ‘gli eredi legittimi’. E quindi nessuno le riscuote».

Dopo dieci anni tali crediti vanno in prescrizione e gli importi finiscono nel Fondo Rapporti Dormienti gestito dalla Consap attraverso il ministero del Tesoro. Ivass ha sollecitato il Governo a porre in essere un intervento legislativo che consentendo alle compagnie di assicurazione l’accesso alla costituenda Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente le obblighi contestualmente a consultarla annualmente. Così prenderanno cognizione delle persone decedute e potranno attivarsi per liquidare gli importi ai legittimi eredi. Fra l’altro, dall’indagine emergono ben 430.000 polizze ancora in vigore per persone ultranovantenni e altre 2.500 intestate ad anziani ultracentenari. Se teniamo conto del fatto che, secondo Istat, al 2016 in Italia gli ultranovantenni sono 730.000 e gli ultracentenari poco più di 18.000, è giunto davvero il momento di fare chiarezza in questa materia.

IVASS nel frattempo suggerisce due azioni per verificare se un familiare deceduto aveva stipulato una polizza vita. Citiamo dal loro comunicato stampa.

1) Una prima strada è quella di rivolgersi al “Servizio ricerca coperture assicurative vita” dell’ANIA (Associazione nazionale delle imprese assicurazione). Attraverso le imprese associate all’ANIA, il Servizio fornisce ai richiedenti (ad esempio i coniugi delle persone decedute) informazioni sull’esistenza o meno, presso le imprese italiane, di coperture assicurative vita relative alla persona deceduta, ipotizzata assicurata. La richiesta di informazioni deve essere effettuata seguendo le istruzioni e compilando i moduli presenti nella pagina web dedicata al Servizio.

La ricerca si basa sul verificare, tra l’altro, che il nome di colui che chiede le informazioni compaia tra i beneficiari della polizza. Si suggerisce, perciò, di formulare tante richieste quante sono i potenziali beneficiari. Esempio: se è deceduto un familiare, padre di due figli, è bene che formulino la richiesta sia la moglie che ciascuno dei due figli, per ampliare il raggio della ricerca.

2) Un seconda strada, che può aggiungersi alla prima, è quella di rivolgersi all’intermediario assicurativo, alla banca o all’impresa di assicurazione di cui si serviva il familiare, chiedendo informazioni – meglio se per iscritto – sulla esistenza della polizza. Scarica un facsimile di richiesta.

Per ulteriori informazioni ed assistenza è possibile telefonare al Contact Center Consumatori dell’IVASS, al numero verde 800 – 486661 dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 14.30.

Polizze Capofamiglia: sono utilissime, pensateci prima, non quando i guai sono già capitati

 
Polizze Capofamiglia: sono utilissime,  pensateci prima, non quando i guai sono già capitati
Un recente caso di cronaca relativo a un minore che, accidentalmente, ha causato un danno alla vista di un amico costringendo la famiglia a vendere la casa per risarcire il danneggiato ci dà motivo di parlare oggi della cosiddetta “polizza del capofamiglia”.
Si tratta di assicurazioni che coprono da una numerosa casistica di sinistri fra quali anche danni a terzi e tutelano quindi il proprio patrimonio qualora si venga chiamati a pesanti risarcimenti.
Sono coperti dalle “RC capofamiglia” tutti coloro che abitano nel nucleo familiare del firmatario, ivi compresi gli animali domestici, che possono essere fra le cause di problemi, come ad esempio le aggressioni da parte di cani.
In questo caso specifico, pur essendo abolita la lista di cani pericolosi a suo tempo istituita dal Ministero della Salute, qualche compagnia continua a non assicurare le razze in essa contemplate e la razza del proprio cane va sempre dichiarata nello stipulare le polizze. Normalmente viene valutato lo storico del comportamento del proprio animale, se si sia reso cioè protagonista in passato di aggressioni e sia iscritto nell’apposito registro.
Relativamente ad altre specie, meglio chiarire nel dettaglio subito con le compagnie quali siano coperte o meno, anche in funzione dell’ambiguità di certe categorizzazioni: per esempio si parla spesso genericamente di “animali domestici”, mentre i conigli, trattati di solito come “animali da reddito”, hanno maturato di recente la denominazione veterinaria di “animali da affezione”.
Attività sportive
Rientrano generalmente nelle RC capofamiglia coperture sulle attività sportive non professionistiche, con eventuale esclusione però delle gare e competizioni. Attenzione poi agli sport considerati “estremi”, come ad esempio paracadutismo o parapendio, che potrebbero essere esclusi dalle polizze.
Danni causati da minori
I figli si sa possono essere fonte di inaspettata infortunistica anche verso terzi, nell’impulsività tipicamente poco riflessiva dell’età giovanile. Può risultare assai utile quindi

il fatto che queste assicurazioni coprano dai danni eventualmente procurati da minori che si siano posti alla guida di veicoli senza patente, all’insaputa dei genitori. Poiché se è vero che attraverso le RC auto le compagnie risarciscono i danneggiati anche in questa casistica di eventi, poi però hanno diritto di rivalsa sull’assicurato, il quale con una polizza Capofamiglia si può ulteriormente proteggere proprio dalla rivalsa.

Perdite d’acqua e attività lavorative
Chi non si occupa di sinistri e risarcimenti non può immaginare quanto numerose siano le rotture di tubature e perdite d’acqua che causano danni nelle strutture abitative e occupate da attività. Anche in questo caso può essere estremamente utile una polizza Capofamiglia, che in alcuni casi aiuta il danneggiante a risarcire il danno. Anche quando la perdita abbia costretto magari l’esercente di un’attività a sospenderla per le riparazioni, subendo un’interruzione del proprio reddito.
Naturalmente vanno considerate bene clausole e franchigie anche in questa tipologia di eventi, poiché non tutti i tipi di danni sono coperti, anche in base a come si sono prodotti magari successivamente ad eventi atmosferici.
La casa
La conduzione della casa può essere origine di vari tipi di danni verso terzi normalmente coperti dalle polizze Capofamiglia, che possono comprendere anche le seconde case e le pertinenze come i box auto, le cantine, il giardino. Inoltre le parti comuni in caso di contesti condominiali sono a loro volta tutelate in caso di danno, altro vantaggio da non sottovalutare.
Per chi può permettersi un collaboratore familiare, c’è copertura anche rispetto alla sua attività domestica e i danni che può procurare a sé stesso come a terzi, così come per le badanti che rimangano anche 24 h su 24 in casa con noi. Nel caso di figure che operino una prestazione occasionale, cioè non fornita in modo continuativo, le polizze coprono per la morte o le lesioni personali gravi o gravissime.
Insomma si tratta di forme di copertura ad ampio raggio che proteggono in modo lungimirante da tante possibili minacce alla nostra sicurezza familiare, dei nostri cari, dei nostri beni. Ma sono come spesso accade tematiche precauzionali cui non siamo portati a prestare l’adeguata attenzione, per una forma forse di pigrizia o superficialità, se non quando poi capita davvero qualcosa e ci pentiamo di non esserci preventivamente tutelati. Quindi il nostro caloroso consiglio è quello di pensarci prima.

In un anno raddoppiate le imprese attive nel welfare aziendale

 

In un anno raddoppiate le imprese attive nel welfare aziendale

Le piccole e medie imprese sono sempre più attente al welfare aziendale per il benessere dei dipendenti. Sanità integrativa, conciliazione vita-lavoro, sostegno alla maternità, iniziative sul territorio, ma anche attività per il tempo libero e la cultura. Queste sono le aree del welfare cresciute più velocemente nell’ultimo anno.

I fattori chiave per la futura crescita del welfare nelle piccole e medie imprese italiane sono la conoscenza delle norme, degli incentivi e degli strumenti del welfare aziendale, insieme alla possibilità di aggregarsi in rete di impresa.

È quanto emerge dal Rapporto 2017 – Welfare Index PMI, promosso da Generali Italia con la partecipazione delle maggiori confederazioni italiane (Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni), che per il secondo anno ha analizzato il livello di welfare in 3.422 PMI italiane (+60% rispetto al 2016).

Il Rapporto 2017

Welfare Index PMI ha monitorato le iniziative delle imprese in dodici aree (previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita- lavoro, sostegno economico, formazione, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, sicurezza e prevenzione, welfare allargato al territorio e alle comunità).

Le protagoniste della crescita sono state le imprese già attive, cioè quelle che avevano avviato piani di welfare aziendale anche negli anni precedenti. In particolare, le imprese molto attive, che attuano iniziative in almeno sei aree, sono quasi raddoppiate: 18,3% del totale rispetto al 9,8% del 2016.

Le aree che sono cresciute di più rispetto allo scorso anno sono:

  • La sanità integrativa (47% delle Pmi ha realizzato almeno un’iniziativa, rispetto al 39% del 2016).
  • La conciliazione vita-lavoro (31% aziende attive, rispetto al 22%), con iniziative di flessibilità dell’orario e dell’organizzazione del lavoro (lavoro a distanza, estensione congedi maternità e paternità).
  • Welfare allargato al territorio (23% aziende attive, rispetto al 15%), dove spiccano i contributi alle comunità locali per attività di volontariato e centri ricreativi, che le Pmi hanno un forte legame con il loro territorio.
  • Cultura, ricreazione e tempo libero (5% delle aziende attive, rispetto al 3%), con incentivi per i dipendenti per eventi culturali e tempo libero (convenzioni con palestre, abbonamenti o biglietteria per cinema e spettacoli, formazione extraprofessionale – musica, teatro, fotografia).

Tra le altre aree rimane stabile, ma di fondamentale importanza, la previdenza integrativa: il 40% delle imprese intervistate ha dichiarato di avere attuato iniziative per integrare le prestazioni del sistema pensionistico a favore dei propri dipendenti.
Tuttavia, l’indagine evidenzia che la maggior parte delle Pmi sta ancora muovendo i primi passi nel welfare aziendale: il 58% ha iniziative in non più di tre aree, a dimostrazione che il welfare aziendale si sta sviluppando in modo graduale.

L’area geografica non è significativa, determinante è la dimensione delle imprese

Come nella scorsa edizione, non c’è una differenza significativa a livello geografico: la diffusione territoriale delle iniziative non cambia tra Nord, Centro e Sud. Ad esempio, la sanità integrativa è stata adottata da almeno una Pmi nel 35,6% a Nord, nel 34,3% al Centro e nel 33,5% al Sud.

Quello che differenzia molto il tasso di iniziative di welfare è la dimensione aziendale. Sempre sulla sanità integrativa, si passa dal 23,7% delle imprese con meno di 10 addetti, fino al 72,4% delle imprese dai 100 fino al 250 addetti. Ciò significa che le Pmi hanno il problema di come strutturare le iniziative di welfare su una popolazione minima di lavoratori in azienda. Non è solo un tema di risorse, ma anche di informazioni disponibili e di competenze interne.

Fattori chiave di successo: la conoscenza degli strumenti e le alleanze tra imprese

Il principale fattore di successo dell’adozione di misure di welfare aziendale è la conoscenza, ovvero l’informazione sulle norme, sulle opportunità fiscali e sugli strumenti di welfare, come i flexible benefits: solo due aziende su 10 hanno una conoscenza precisa delle regole e degli incentivi del welfare aziendale, e sono le più attive. Le alleanze e le reti d’impresa sono la via che permette alle Pmi di raggiungere la massa critica. Nel 22% dei casi, le aziende più attive si sono associate con atre imprese o hanno utilizzato servizi comuni di tipo associativo.

Risultati del welfare aziendale: migliora la soddisfazione e fidelizzazione dei lavoratori

Welfare Index PMI ha chiesto alle Pmi l’obiettivo per cui adottano iniziative di welfare aziendale e quali sono stati i risultati. La maggior parte (50,7%) ha dichiarato che lo scopo principale è migliorare la soddisfazione dei lavoratori e il clima aziendale. Il 16% la fidelizzazione e la produttività del lavoro. Sul primo obiettivo, il 71% delle imprese molto attive (in almeno 6 aree) ha dichiarato di aver già ottenuto risultati positivi e di attendersi ulteriori miglioramenti nel lungo periodo.

3.422 imprese dei 5 settori produttivi e terzo settore

La ricerca è stata condotta su un campione di 3.422 Pmi, il 60% in più rispetto allo scorso anno (2.140 imprese nel 2016). In particolare, è stata monitorata la crescita del welfare aziendale nel 2016, anno fondamentale per il welfare, grazie a nuove norme che hanno introdotto importanti incentivi alle iniziative delle imprese. Rispetto alla prima edizione, l’indagine è stata allargata a 5 settori produttivi (lo scorso anno erano 3): industria, commercio e servizi, agricoltura, artigianato, studi e servizi professionali, più il terzo settore.

RATING WELFARE INDEX PMI E LE AZIENDE PREMIATE

Quest’anno Welfare Index PMI ha introdotto un’importante novità: il Rating Welfare Index PMI, uno strumento che permette alle imprese di comunicare il proprio livello di welfare in modo più semplice e immediato, facendo diventare il welfare aziendale un vantaggio competitivo, oltre che a stimolare un percorso di crescita.

Tutte le imprese partecipanti all’indagine sono state classificate con un valore crescente da 1W a 5W, sulla base dell’ampiezza e del contenuto delle iniziative, dell’originalità e delle politiche di welfare.

5W – Welfare Champion (ampiezza molto rilevante, almeno 8 aree, intensità elevate)

4W – Welfare Leader (ampiezza rilevante, almeno 6 aree, discreta intensità)

3W – Welfare Promoter (ampiezza superiore alla media, almeno 5 aree, più di una iniziativa per area)

2W – Welfare Supporter (ampiezza media, attive in almeno 3/4 aree)

1W – Welfare Accredited (welfare in fase iniziale, attive in meno di 3 aree)

(fonte: Welfare Index PMI)