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Ancora truffe nelle polizze comprate sul Web


Ancora truffe nelle polizze comprate sul web.
Le ultime segnalazioni dell’IVASS.

Altri siti di assicurazioni online non in possesso dei requisiti segnalati dall’Ivass, l’stituto di vigilanza sulle attività assicurative.

Nell’ordine vengono indicati nelle più recenti comunicazioni sul sito ufficiale di Ivass come siti internet non riconducibili a intermediari assicurativi iscritti nel Registro:

www.assicurazioniadriatica.it (leggi il comunicato ufficiale di Ivass)

www.morettiassicurazioni.com (leggi il comunicato ufficiale di Ivass)


www.assicurazioniquionline.it (leggi il comunicato ufficiale di Ivass)

Inoltre in un comunicato del 27 giugno 2018 Ivass (vedi il documento) segnala che l’impresa assicurativa  Lev Ins con sede legale in Bulgaria, sottoposta alla vigilanza della Autorità del Paese di origine (Financial Supervision Commission – FSC) e abilitata ad operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi (ossia senza una sede stabile) ha comunicato che non ha emesso né sta emettendo polizze fideiussorie in Italia ma di essere venuta a conoscenza della circolazione in Italia di documenti e polizze fideiussorie false recanti segni distintivi dell’impresa e sottoscrizioni mai apposte dai suoi legali rappresentanti.

Una di queste polizze sarebbe stata proposta tramite il sito www.assiroyal.it non
riconducibile ad alcuna impresa o intermediario assicurativo e già segnalato da IVASS con
comunicato stampa del 11 aprile 2018 (vedi il comunicato).

Trasporti bambini in scooter o moto? Sei sicuro di sapere qual è il modo corretto di farlo?

Trasporti bambini in scooter o moto?


Sei sicuro di sapere qual è il modo corretto di farlo?

Trasporti tuo figlio in moto o in scooter? Sei sicuro che si possa? Sei sicuro di farlo secondo le norme vigenti che sono pensate per la sua e tua sicurezza? In definitiva: sei sicuro che sia sicuro? Lo chiediamo perché troppo spesso capita di vedere adulti che si avventurano in soluzioni acrobatiche e azzardate inammissibili. In certe aree del nostro Paese quello dei passeggeri abusivi sulle due ruote è un annoso problema che raggiunge punte quasi surreali di creatività, là dove la creatività corrisponde a condizioni di drammatico pericolo per la vita stessa dei passeggeri, a maggior ragione quando sono giovanissimi.
Detto questo, capita però ovunque in tutto lo stivale di notare pratiche pericolose messe in atto da conducenti adulti incoscienti, i quali magari sono perfino convinti di essere nel giusto.

Andiamo con ordine e vediamo cosa dice il Codice della strada: “Sui ciclomotori è vietato il trasporto di altre persone oltre al conducente, salvo che il posto per il passeggero sia espressamente indicato nel certificato di circolazione e che il conducente abbia età superiore a sedici anni”.
Prima di tutto quindi chi guida deve avere almeno sedici anni e il mezzo dev’essere omologato per il trasporto di un passeggero. Ma detto questo è necessario rifarsi rigorosamente a quanto afferma l’articolo 170 del Codice della Strada, in modo tassativo: è vietato trasportare bambini di età inferiore
ai 5 anni, sia sui ciclomotori che sui motocicli. La violazione comporta una multa da 161 a 647 euro, senza decurtazione di punti dalla patente. Dopo i cinque anni, il bambino deve inoltre essere seduto in modo “stabile ed equilibrato, nella posizione determinata dalle apposite attrezzature del veicolo”.
Attenzione quindi: vi sarà capitato spesso di notare adulti che caricano un bambino piccolo e lo tengono in piedi davanti a sé sulla pedana tra manubrio e sedile, tra le gambe. Questa è una posizione pericolosissima che espone il bambino a dei rischi assai pesanti in caso di incidente, di caduta, di una frenata brusca. Dovrebbe bastare un po’ di logica e il cosiddetto buon senso per capire questo, ma a quanto pare tali doti non sono completamente condivise da tutti. Si tratta di una postura che non rispetta le norme e che quindi, oltre ai pericoli oggettivi per l’incolumità del passeggero, espone anche alle sanzioni previste.

I bambini devono essere inoltre muniti di un casco adeguato, che non è dello stesso tipo di quello per adulti che sarebbe troppo pesante per loro. Il casco per la moto, sia per adulti che per bambini, deve essere omologato ai sensi del Regolamento Europeo ECE/ONU 22 e costituito da una calotta esterna, una calotta interna, un’imbottitura, un cinturino di aggancio, eventualmente visiera, prese d’aria e parti sganciabili. Assolutamente proibiti e inutili sulle due ruote a motore per i bambini i caschi da bicicletta.

Quindi se dovete trasportare un bambino potete farlo se non è di età inferiore ai 5 anni e se ha una corporatura che gli permetta di sedersi in modo stabile nel posto del passeggero. Esistono dei seggiolini da applicare sul sedile, che vengono fissati e hanno staffe su cui il bimbo può appoggiare i piedi. Peraltro la normativa italiana è un po’ vaga sulla loro omologazione ed esiste anche chi ritiene comunque pericoloso tale sistema, poiché in caso di caduta il bambino rimarrebbe agganciato al mezzo e cadrebbe con esso senza possibilità di divincolarsi e attutire l’urto, qualora fosse possibile.

Ivass segnala altri tre siti irregolari di polizze online


Ivass segnala altri tre siti irregolari di polizze online

La situazione sta diventando davvero delicata, L’Istituto di vigilanza delle attività assicurative ha individuato ancora tre siti web che proponevano polizze online senza possedere i requisiti necessari.
I tre comunicati datano 6-7 e 8 marzo 2018.
I nomi dei domini di questi siti sono:

www.assicurazionidirect.it  >(clicca per vedere il comunicato)

www.bozzanobroker.it  >(clicca per vedere il comunicato)

www.fedeassicurazioni.com  >(clicca per vedere il comunicato)

Nessuno dei soggetti protagonisti dell’attività di vendita online delle polizze risulta per Ivass  “riconducibile a un intermediario assicurativo iscritto nel Registro”, requisito necessario per poter esercitare tale attività.

L’attività di reperimento polizze “fai da te” è sempre più diffusa grazie agli strumenti tecnologici in continua evoluzione e al diffondersi delle proposte disponibili sul mercato, sempre più numerose. Ma la cautela è d’obbligo. Non ci stanchiamo di ricordare come
oltre al pericolo di incappare in interlocutori disonesti, tale pratica richieda una grande attenzione e possibilmente competenze specifiche. Il settore assicurativo è caratterizzato da una forte specializzazione e il nostro consiglio rimane quello di affidarsi a professionisti esperti capaci di guidare l’acquirente di una tutela assicurativa verso le scelte per lui più adatte.
A maggior ragione se i temi sono molteplici e non si limitano a una singola polizza RCauto, ma riguardano anche attività professionali, lavorative, aziende, beni mobili e immobili, persone, i nostri cari.
La complessità della materia necessità della consulenza di professionisti, né lo specchietto per le allodole di un mero risparmio economico può essere il solo motivo valido per indirizzare le decisioni da prendersi. Ci si può esporre  rischi davvero insidiosi.

Rapporto Ismea sulla gestione del rischio in Italia: il mercato assicurativo agricolo vale 7,2 miliardi di euro


Rapporto Ismea sulla gestione del rischio in Italia: il mercato assicurativo agricolo vale 7,2 miliardi di euro


Si assicurano le aziende più grandi e strutturate
Nel 2017 il mercato assicurativo agricolo agevolato ha raggiunto in Italia un valore di circa 7,2 miliardi di euro, pressoché invariato rispetto all’anno precedente.
Un risultato che evidenzia una stabilizzazione del mercato, dopo un biennio caratterizzato da chiari segnali di sofferenza, dovuti in particolare al calo della richiesta di coperture assicurative contro i danni alle colture e alle strutture aziendali.

È questo uno degli elementi che emergono dal “Rapporto ISMEA sulla gestione del rischio in agricoltura”, realizzato in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale Nazionale e presentato oggi durante il “X Convegno Nazionale CESAR sulla Gestione del Rischio in Agricoltura” tenutosi ad Assisi.

Il mercato si caratterizza per un elevato grado di concentrazione, sia in termini di prodotti sia di territori. Uva da vino, mele, mais, riso e pomodoro da industria rappresentano oltre due terzi dei valori assicurati; seguono pere, frumento tenero e nettarine. A livello territoriale, i due terzi dei valori assicurati sono riconducibili a Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige e Piemonte.


L’Ismea ha tracciato anche un “identikit” dell’azienda-tipo assicurata: di dimensioni ben più elevate rispetto alla media (oltre 17 ettari), più strutturata e maggiormente meccanizzata, condotta da soggetti più giovani e con più marcate connotazioni imprenditoriali.
Lo studio Ismea ha consentito anche di valutare l’ammontare complessivo della spesa pubblica potenziale a sostegno della gestione del rischio in agricoltura, con dotazioni finanziarie, tra fondi statali, regionali e comunitari, pari a 314 milioni di euro annui, corrispondenti a una media di 214 euro per azienda agricola. (fonte Ismea)


Nel 2017 ben 28.500 allarmi hacker e il 2018 non parte meglio. Le aziende devono correre ai ripari


Nel 2017 ben 28.500 allarmi hacker e il 2018 non parte meglio.

Le aziende devono correre ai ripari.

Ci voleva anche la falla scoperta nei processori dei principali dispositivi digitali denunciata da un gruppo di esperti del settore, presente a loro dire da almeno dieci anni! Già il 2017 è stato un anno difficile per la sicurezza informatica e il 2018 è cominciato anche peggio. Per la precisione sono state individuate due tipologie di vulnerabilità: la prima, denominata Meltdown, coinvolge i processori realizzati da Intel; la seconda, Spectre, coinvolge invece i processori realizzati da Arm e Amd, oltre a quelli di Intel, ed è stata scoperta solo dal team Google di Project Zero.

A confermare la presenza di queste anomalie è stata anche Apple. L’azienda di Cupertino ha infatti ammesso che “tutti i sistemi Mac e i dispositivi iOs sono interessati dai problemi di sicurezza noti come Meltdown e Spectre”.

Siamo tutti a rischio, soprattutto le imprese. Solo in Italia, secondo i dati diffusi dalla Polizia Postale, le minacce informatiche contro le infrastrutture critiche nazionali l’anno scorso sono cresciute di cinque volte rispetto al 2016. Nel dettaglio sono scattati circa 28.500 allarmi hacker, mentre gli attacchi veri e propri hanno toccato quota 1006.

Il 2018 sarà dunque l’anno in cui le Compagnie assicurative dovranno farsi carico seriamente del problema.

La sicurezza informatica investe il mondo assicurativo sotto un duplice aspetto: come per essere le compagnie maggiormente esposte vista la quantità immensa di dati che custodiscono e che le rendono molto appetibili ai malintenzionati. Allo stesso tempo sono esse stesse a dover tutelare dai rischi gli altri settori di attività e i nuovi modelli di polizze legati all’internet of things (l’internet delle cose), per esempio ai dispositivi smart home, scontano il fatto che questi nuovi tipi di device sono altrettanto vulnerabili.

Ma è necessario che fra le imprese italiane aumenti ancora molto la percezione del rischio informatico come elemento fra i prioritari della gestione del rischio complessiva, come sta avvenendo nel mercato globale. Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, ha sottolineato recentemente:

“Finora abbiamo trattato il cyber risk con riferimento ai clienti corporate che per primi hanno cominciato a pensare ai rischi che possono derivarne. Ma il tema sta diventando rilevante anche per altri settori come, ad esempio, il retail. Per questo stiamo studiando contratti di assicurazione e ci aspettiamo una grande evoluzione. Pensate che il costo annuo globale legato alle frodi informatiche è stimato in un intervallo tra 100 miliardi e 1 trilione di dollari e il costo medio di incidente oscillerebbe tra 2 e 4 milioni di dollari. Si è stimato, inoltre, che questi rischi potrebbero avere l’incidenza di un mezzo punto percentuale sul PIL degli Stati Uniti o di un punto su quello tedesco. Secondo l’Insurance Information institute i premi per coperture cyber risk raddoppieranno in pochissimo tempo fino a raggiungere i 7,5 miliardi entro il 2020”.

La società UK Aon, attiva nei servizi finanziari e nella sicurezza informatica, ha in questi giorni pubblicato il suo ‘2018 Predictions: Trends in Cybersecurity’ in cui evidenzia come, oltre alla crescente e quasi incontrollata minaccia che si sta vivendo, si sia giunti alla situazione in cui il Chief Risk Officer diventerà una figura centrale nelle aziende, poiché la minaccia informatica perderà quel ruolo un po’ marginale che ha avuto finora per rientrare a pieno titolo (forse tra i principali) rischi aziendali. I dirigenti delle società ora sono finalmente consapevoli della gravità dei rischi (compresi guadagni ridotti, interruzioni operative e reclami contro amministratori e funzionari) e correranno ai ripari sottoscrivendo polizze cyber risk specifiche e su misura piuttosto che fare affidamento su componenti “silenziose” riposte in altre polizze. L’adozione di polizze cyber risk si estenderà oltre gli acquirenti tradizionali, ai settori della vendita al dettaglio, finanziario e sanitario, alla produzione, trasporto, servizi pubblici.

“Nel 2017, gli hacker hanno creato scompiglio attraverso una serie di leve, dagli attacchi di phishing che hanno influenzato le campagne politiche ai cryptoworms ransomware che si sono infiltrati nei sistemi operativi su scala globale. Con la crescita dell’Internet of Things (IoT), abbiamo anche assistito a proliferazione degli attacchi DDoS (distributed denial-of-service) sui dispositivi IoT, che paralizzano la funzionalità del dispositivo “, ha dichiarato Jason J. Hogg, CEO di Aon Cyber Solutions. “Nel 2018, prevediamo un’esposizione cibernetica più ampia a causa della convergenza di tre tendenze: in primo luogo, il crescente ricorso da parte delle aziende alla tecnologia, in secondo luogo, l’intensificarsi della protezione dei dati dei consumatori e, in terzo luogo, il valore crescente delle attività non fisiche. “.

Il problema della sicurezza informatica è naturalmente globale e altrettanto globale sarà il trend di crescita delle polizze cyber risk. Per esempio, in India il boom si è già sentito: nel 2017 il mercato è cresciuto del 50%. L’Insurance Information Institute ha previsto che i premi per coperture cyber risk raggiungeranno i 7,5 miliardi entro il 2020. (fonte InsuranceUp)

Polizze Agricoltura: novità sperimentali e testo unico per le piante officinali


Polizze Agricoltura: novità sperimentali e testo unico per le piante officinali

Il Governo punta a riscrivere il sistema delle polizze in agricoltura, consentendo lo sviluppo di strumenti assicurativi innovativi, la previsione di polizze sperimentali e, soprattutto, di nuovi fondi di mutualizzazione, sperimentali anch’essi. In più estende l’ombrello assicurativo a tutela degli eventi di portata catastrofica, delle epizoozie (le malattie di natura infettiva che in poco tempo e in territorio generalmente esteso colpiscono un gran numero d’animali della stessa specie o di specie diverse), degli organismi nocivi ai vegetali e dei danni causati da fauna selvatica protetta. È questo il cuore di un decreto legislativo, licenziato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, che tiene conto anche
dell’impatto del cambiamento climatico sulle attività agricole. E integra le misure di gestione del rischio finanziate nel quadro della nuova programmazione Ue 2014/20. Un secondo dlgs, approvato dall’esecutivo sempre in prima lettura, costituisce il nuovo Testo unico per la coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali. 

Assicurazioni agricole
La bozza di dlgs suddivide le nuove polizze sperimentali che potranno sbarcare sul mercato in due categorie:
– “ a ricavo”, a copertura della perdita di ricavo della produzione assicurata, dove questa sia «intesa come combinazione» tra la variazione del prezzo di mercato e la variazione della resa a causa degli eventi eccezionali previsti dal decreto;
–  “parametriche” a copertura della perdita di produzione assicurata per danni di quantità e qualità, a seguito di un andamento climatico avverso o di eventi catastrofici, anche in base a indici biologici o meteorologici.
Entrambe le tipologie di polizza sperimentale possono essere riassicurate dal fondo ex articolo 127, comma 3, della legge 388/2000.
Sul versante dei contributi, il dlgs dispone che venga definito un Piano di gestione rischi in agricoltura e che con esso vengano dettati termini, modalità, entità del contributo dello Stato, soglie minime di danno, procedure di erogazione e criteri di cumulo degli aiuti. In più, con lo stesso piano verranno fissati i parametri per il calcolo del contributo pubblico sui premi assicurativi e sulle quote di partecipazione e adesione ai fondi di mutualizzazione. Questi, saranno distinti per:

a) tipologia di polizza assicurativa o mutualistica e schema contrattuale contenente gli standard minimi;
b) area territoriale, identificata sulla base delle proposte delle regioni;
c) eventi coperti e garanzia;
d) tipo di coltura, impianti produttivi, produzioni zootecniche, strutture.

Aiuti non cumulabili
Il decreto, inoltre, stabilisce che gli aiuti alla gestione del rischio non saranno cumulabili con i contributi per investimenti, finalizzati al ripristino del potenziale produttivo danneggiato da calamità. Mentre consente il cumulo con altri aiuti di stato, purché le misure di aiuto riguardino costi diversi.

Piante officinali 
L’altro schema di decreto licenziato dal Governo detta un nuovo assetto del settore delle piante officinali per favorirne e lo sviluppo e per valorizzare le produzioni nazionali. Vengono istituiti i registri varietali delle specie; in essi saranno elencate le piante officinali ammesse alla commercializzazione e stabilite le modalità e le condizioni per la certificazione delle sementi. Viene inoltre disciplinata la raccolta spontanea delle stesse piante officinali, per evitare il depauperamento delle aree. In più, con un futuro decreto del Ministro delle politiche agricole, varato d’intesa con la Conferenza stato-regioni, sarà stilato il primo piano di settore della filiera delle piante officinali per individuare gli interventi e incentivare la filiera dal punto di vista ambientale. Con lo stesso piano si definiranno forme di aggregazione professionale e interprofessionale che avranno come obiettivo  l’incremento della redditività delle imprese agricole di settore. Le regioni potranno inoltre istituire nel rispetto della normativa Ue marchi per certificare il rispetto di standard di qualità, nella filiera delle piante officinali.

Ma senza il “Pai” niente benefici
Il «piano assicurativo individuale» (cosiddetto Pai) rappresenta il documento fondamentale e indispensabile ai fini della stipula della polizza assicurativa agricola agevolata e della successiva presentazione della domanda di sostegno. La mancata presentazione del Pai non consente di accedere ai benefici della sottomisura 17.1 inerenti le produzioni vegetali, campagna assicurativa 2018. È con la circolare Agea del 1 dicembre 2017, n. 50, che vengono dettate le istruzioni operative per l’accesso ai contributi comunitari per le assicurazioni inerenti le produzioni vegetali campagna assicurativa 2018. Le polizze assicurative agevolate devono essere stipulate prima dell’insorgenza dei rischi e per le produzioni vegetali coprono l’intero ciclo colturale che può concludersi anche nell’anno solare successivo a quello di stipula. Il periodo di copertura della polizza deve essere congruente sia con il termine ultimo del raccolto del prodotto sia con il periodo di conduzione delle superfici sulle quali insiste la coltura assicurata. Ciascun Pai, sottoscritto dall’agricoltore e rilasciato nel sistema Sian, costituisce strumento propedeutico alla definizione del contratto assicurativo e documento necessario da allegare alla polizza individuale o al certificato di polizza collettiva per la richiesta del contributo. Le superfici indicate nel Pai devono corrispondere a quelle assicurate riportate nel certificato di polizza collettiva/polizza individuale con un eventuale scostamento massimo dell’1%, fermo restando che ai fini del calcolo della spesa ammissibile viene considerata la minore delle due superfici. Sono considerati ammissibili i soli PAI sottoscritti dall’agricoltore e rilasciati nel sistema Sian (sistema informativo agricolo nazionale), mentre non sono ammissibili i Pai nello stato di lavorazione, «in compilazione» e «stampato». Il Pai ha ambito territoriale nazionale e deve essere presentato all’organizzazione pagatore Agea mediante il sistema gestionale Sian (www.sian.it), indipendentemente dall’organizzazione pagatore competente per il fascicolo aziendale del richiedente. (fonte Italia oggi)

Rischio idrogeologico: sconfortante inchiesta di Legambiente sui Comuni: 7.5 mln di cittadini in pericolo quotidiano


Rischio idrogeologico: sconfortante inchiesta di Legambiente sui Comuni: 7.5 mln di cittadini in pericolo quotidiano

Italia sempre più fragile e insicura, incurante dell’eccessivo consumo di suolo e del problema del dissesto idrogeologico mentre i cambiamenti climatici amplificano gli effetti di frane e alluvioni. A parlare chiaro sono i dati di Ecosistema Rischio 2017, l’indagine di Legambiente sulle attività nelle amministrazioni comunali per la riduzione del rischio idrogeologico, realizzata sulla base delle risposte fornite da 1.462 amministrazioni al questionario inviato ai 7.145 comuni classificati ad elevata pericolosità idrogeologica (oltre l’88% del totale) secondo i dati dell’Ispra.

Nel 70% dei comuni italiani intervistati si trovano abitazioni in aree a rischio. Nel 27% sono presenti interi quartieri, mentre nel 50% dei comuni sorgono impianti industriali. Scuole o ospedali si trovano in aree a rischio nel 15% dei casi, mentre nel 20% dei comuni si trovano strutture ricettive o commerciali in aree a rischio. La costruzione scellerata non è un fenomeno solo del passato: nell’ultimo decennio il 9% dei comuni (136) ha edificato in aree a rischio e di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate, nonostante il recepimento del PAI (Piani di assetto idrogeologico) nella pianificazione urbanistica. Preoccupanti anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi: anche se il 70% dei comuni intervistati (1.025 amministrazioni) svolge regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, il 9% delle amministrazioni ha dichiarato di aver “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti, mentre solo il 4% ha eseguito la delocalizzazione di abitazioni costruite in aree a rischio e il 2% la delocalizzazione di fabbricati industriali. A pagare lo scotto di questa Italia insicura sono gli oltre 7,5 milioni di cittadini esposti quotidianamente al pericolo – secondo le stime di Legambiente sulla base delle risposte fornite dai comuni intervistati – che vivono o lavorano in aree potenzialmente pericolose e la cui incolumità deve essere la priorità del Paese. Dal 2010 al 2016, stando alle stime del Cnr, le sole inondazioni hanno provocato nella Penisola la morte di oltre 145 persone e l’evacuazione di oltre 40mila persone. Per non parlare dei danni economici causati dal maltempo e che solo nell’ultimo triennio (2013-2016), secondo i dati dell’unità di missione Italiasicura, è di circa 7,6 miliardi di euro. Lo Stato ad oggi ha risposto stanziando circa il 10% di quanto necessario, 738 milioni di euro.

Il dossier Ecosistema Rischio 2017, realizzato in collaborazione con Unipol, è stato presentato in questi giorni a Roma. “I dati dell’indagine Ecosistema Rischio – spiega Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – evidenziano la forte discrepanza che ancora esiste tra le evidenze, la conoscenza, i danni, le tragiche conseguenze del rischio idrogeologico nel nostro Paese e la mancanza di un’azione diffusa, concreta ed efficace di prevenzione sul territorio nazionale. Azione che deve prevedere alcuni presupposti imprescindibili, quali un adeguato stanziamento di risorse economiche e di fondi anche per i piani di adattamento al clima, un controllo e un coordinamento sui progetti e sugli interventi perché siano realmente efficaci e, soprattutto, un approccio diverso basato su politiche urbanistiche e territoriali di adattamento al clima per ridurre gli effetti devastanti che frane e alluvioni continuano ad avere sul nostro territorio, come ad esempio la delocalizzazione degli edifici più a rischio. Infine un’efficace azione di prevenzione passa inevitabilmente attraverso la diffusione di una cultura della convivenza con il rischio, attraverso piani comunali di emergenza di Protezione Civile adeguati e aggiornati e attività di formazione e informazione per la popolazione sui comportamenti da adottare in caso di allerta, frane e alluvioni”.

A questo riguardo Legambiente ricorda che, nonostante negli ultimi anni ci siano stati dei segnali incoraggianti legati anche a specifici atti normativi (vedi art. 7 Sblocca Italia su interventi integranti e Legge stabilità 2014 comma 118 su misure che favoriscono la delocalizzazione in aree sicure degli edifici costruiti nelle zone colpite dalle alluvioni), ad oggi gli interventi di delocalizzazione degli edifici presenti in aree a rischio stentano a ripartire. Non vengono effettuati neanche quando gli immobili sono abusivi e ci sono fondi a disposizione per farli. Lo dimostra il fondo di 10 milioni di euro stanziato dal Ministero dell’Ambiente a fine 2016, destinato ai Comuni che demoliscono gli edifici abusivi presenti nelle aree a rischio, ancora oggi inutilizzato perché sono pervenute solo 17 richieste di abbattimento non sufficienti per far scattare l’iter.

Messa in sicurezza del Paese “fantomatica”

“In questi anni – aggiunge Ciafani – si sono succeduti piani e programmi, spesso composti da interventi puntuali e slegati al contesto territoriale, che hanno prodotto solo una lunga lista della spesa volta ad una fantomatica “messa in sicurezza del Paese”, che di fatto non ha prodotto alcun risultato duraturo ed efficace. Al contrario occorre approfondire la conoscenza del territorio e delle sue dinamiche introducendo l’elemento del rischio in tutte le politiche di gestione e di pianificazione territoriale”.

Tornando ai dati di Ecosistema Rischio 2017, il 65% delle amministrazioni (952) ha dichiarato che sono state realizzate opere per la mitigazione del rischio nel proprio territorio. In 455 comuni sono state conseguite opere di consolidamento dei versanti (48% dei casi), in 430 costruzioni di nuove arginature (45%), e in 383 comuni interventi come la risagomatura dell’alveo (40%). Nel 78% dei casi (1.145) le perimetrazioni definite dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) sono state integrate ai piani urbanistici, anche se nel 9% delle amministrazioni si è continuato a costruire nelle aree a rischio anche nell’ultimo decennio.

Elemento imprescindibile per tutelare la vita delle persone e la loro salvaguardia è dato da una efficace azione di prevenzione non strutturale e una cultura diffusa di Protezione Civile. Sul fronte dell’attività di prevenzione, l’82% (1.192) delle amministrazioni si è dotato di un piano di emergenza comunale di Protezione Civile da mettere in atto in caso di frana o alluvione. Solo il 55% di questi (656 su 1192) ha dichiarato invece di aver aggiornato il proprio piano d’emergenza negli ultimi due anni. Inoltre nel 43% dei comuni (632 su 1.458), che hanno partecipato all’indagine, sono presenti e attivi sistemi di monitoraggio finalizzati all’allerta in caso di pericolo, mentre il 68% dei comuni intervistati riferisce di aver recepito il sistema di allertamento regionale: un importante passaggio per far sì che il territorio sia informato con tempestività su eventuali situazioni di allerta e pericolo. Per quanto riguarda le attività d’informazione rivolte ai cittadini, il 33% del campione ha realizzato attività di informazione rivolte ai cittadini, mentre solo il 29% (432 comuni) ha compiuto esercitazioni per testare l’efficienza del sistema locale di protezione civile. Una percentuale particolarmente bassa visto che i piani d’emergenza, per essere realmente efficaci, devono per prima cosa essere conosciuti dalla popolazione.

Le 5 priorità secondo Legambiente

Legambiente ha infine presentato le 5 priorità di intervento per l’associazione ambientalista: 1) Introdurre la chiave dell’adattamento al clima nella pianificazione di bacino e negli interventi di riduzione del rischio idrogeologico; 2) Intervenire in maniera prioritaria sulle aree urbane, dove si concentrano il maggior numero delle persone esposte al rischio da frane e alluvioni e le situazioni più critiche anche alla luce del cambiamento climatico in corso. Su questo è stato predisposto il piano di Italia sicura per le aree metropolitane, ma è opportuno che quest’azione si integri con l’elaborazione dei piani clima, partendo dalle città più a rischio. 3) Avviare una politica di delocalizzazione degli edifici a rischio, come previsto dal comma 118 della Legge di Stabilità del 2014 che, ad esempio, prevedeva per l’area di Olbia che i finanziamenti fossero prevalentemente destinati verso questa soluzione. Oppure come previsto anche dall’articolo 7 dello Sblocca Italia che “nei suddetti interventi (integrati) assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità.” 4) Rafforzare le misure di vincolo, con l’obiettivo di evitare l’insediamento di nuovi elementi in arre a rischio. 5) Diffondere la cultura della “convivenza con il rischio” attraverso piani di emergenza adeguati e aggiornati, attività di formazione e informazione per la popolazione e campagne educative per l’apprendimento dei comportamenti da adottare in caso di frane e alluvioni e dell’attivazione dello stato di allerta sul proprio territorio. (fonte Legambiente)

Rc auto: scatola nera solo su proposta della compagnia e altre novità

 

Rc auto: scatola nera solo su proposta della compagnia e altre novità

Per il momento, le compagnie assicurative non si sono mostrate molto favorevoli a generalizzare su larga scala gli sconti sulle polizze Rc auto che siano agganciate all’installazione sui veicoli delle cosiddette “scatole nere” e a un’eventuale ispezione dei mezzi prima di assicurarli.

La materia degli sconti – informa il Sole 24 Ore -, introdotti dalla legge concorrenza dello scorso agosto (la 124/2017), sarà disciplinata in modo piuttosto dettagliato e rigoroso da un regolamento che l’Ivass (l’autorità di vigilanza del settore) ha preparato entro i 90 giorni stabiliti dalla norma stessa e messo in pubblica consultazione la settimana scorsa per 45 giorni. Ma ciò che potrebbe impedire una diffusione degli sconti è un inciso contenuto proprio nella legge: il montaggio della scatola nera, o dell’alcolock, o l’ispezione si potranno effettuare «su proposta dell’impresa di assicurazione».

Insomma, se l’assicurazione non vi proporrà la scatola nera, non potrete esigerla e con essa gli sconti collegati. Il testo della legge, affidando questo concetto a un inciso, non era chiarissimo. Ma ora lo schema di regolamento Ivass pare confermare questa interpretazione.

Solo in parte diverso è invece il discorso riguardante gli sconti aggiuntivi che la Legge sulla Concorrenza vuole introdurre per affrontare il tema dei rincari delle polizze che colpiscono anche i conducenti virtuosi che però guidino nei territori più a rischio. Essa individua i beneficiari in coloro che da quattro anni non abbiano provocato sinistri o ne abbiano causati con un concorso di colpa fino al 49% e contestualmente abbiano installato la scatola nera. L’interpretazione che sembra emergere dal regolamento Ivass è che se il dispositivo è già montato lo sconto aggiuntivo deve automaticamente scattare, se non lo è l’agevolazione deve sempre essere proposta dalla compagnia (e accettata dal cliente).

Su questo la legge è formulata in termini “morbidi” dato anche l’atteggiamento delle compagnie, che da sempre hanno dichiarato la loro contrarietà rispetto agli sconti obbligatori, minacciando anche la possibilità di intentare azioni legali per opporsi all’introduzione eventuale di tale norma.

Se però una compagnia decide di concederli, ecco che in questo caso legge e relativo regolamento si mostrano severi sulla loro applicazione: l’Ivass responsabilizza due funzioni-chiave della compagnia: quella attuariale (il calcolo matematico delle probabilità dei sinistri) e quella di “compliance” (la conformità alle norme impartite dal legislatore), che devono garantire un calcolo degli sconti (sul premio effettivo e non sulla tariffa teorica) da una parte corretto e trasparente, dall’altra compatibile con i bilanci delle imprese. Il loro operato dovrà essere tracciabile dall’autorità su ogni singolo contratto, per permettere i controlli sia a campione sia su segnalazione dell’assicurato che sono previsti dalla legge.

Le tariffe degli altri e l’attestato di rischio “dinamico”

Ma in un percorso che vuole migliorare i diritti dei consumatori vanno anche altre novità in arrivo sul fronte della trasparenza e del contrasto alle frodi, piaga questa che causa un generale aggravio di costi nel mercato a danno degli assicurati onesti per la disonestà di alcuni.

Da un lato si attende l’obbligo per gli agenti di informare la clientela sulle offerte di più compagnie e dall’altro l’introduzione del cosiddetto “attestato di rischio dinamico”, che tenga cioè conto degli incidenti eventualmente non dichiarati dal cliente al momento della stipula di una nuova polizza.

L’obbligo informativo deriva dalla legge concorrenza e sostituisce quello di offrire i preventivi di almeno tre compagnie introdotto con scarso successo nel 2012. Non è ancora chiaro se il nuovo obbligo riguarderà solo gli agenti assicurativi plurimandatari per le compagnie che rappresentano, oppure tutti gli intermediari per tutte le compagnie. In quest’ultimo caso, i dati dovrebbero arrivare dal preventivatore ufficiale Ivass accessibile anche al pubblico (www.tuopreventivatore.it). Ma attualmente la loro indicatività non può essere piena, perché occorrerebbe si riferissero a contratti del tutto confrontabili. Infatti da anni è previsto un contratto-tipo uguale per tutti, valido soprattutto ai fini comparativi e poi personalizzabile in base alle scelte del cliente. Se l’Ivass confermerà la volontà di rispettare le tempistiche dettate dalla Legge concorrenza per emanarne le norme attuative come ha fatto per gli sconti obbligatori, il contratto-tipo arriverà nel giro di qualche mese.

L’adozione dell’attestato di rischio dinamico non è in realtà contenuta in nessuna norma, ma si tratta di una volontà espressa in modo condiviso dal legiferante, dalle compagnie e più in generale da tutti gli operatori del settore. Infatti, ci sono clienti che sfruttando le lunghe tempistiche permesse nella denuncia dei sinistri (fino a due anni) e quindi il ritardo con cui esso compare nell’attestato di rischio, cambiano compagnia avvalendosi del bonus-malus precedente non aggiornato. Dato che oggi la tecnologia consente un aggiornamento e una condivisione dei dati in tempi rapidi, diventerà possibile “rincorrere” l’assicurato per chiedergli la differenza nella tariffa anche a polizza già attivata. (fonte Sole 24 Ore)

Solo in India più ansiosi che in Italia, ma per la salute gli italiani non si assicurano

 

Solo in India più ansiosi che in Italia, ma per la salute gli italiani non si assicurano

C’è la salute tra le preoccupazioni principali degli italiani. In linea con quanto avviene anche nel resto del mondo, le paure di una malattia grave (41%), della diffusione di pandemie (36%) o di soffrire di salute precaria (28%) pesano meno solo delle preoccupazioni legate a terrorismo (47%) e precarietà sul lavoro (43%). Oltre 1 italiano adulto su 3, infatti, ritiene che la propria condizione di salute non sia buona, ma solo “media” (27%) o “cagionevole” (7%). È quanto emerge dal Consumer Attitudes Survey, indagine internazionale realizzata dal gruppo assicurativo Aviva – tra i leader in Europa e presente in Italia dal 1921 – sulla percezione della propria salute in 14 paesi del mondo.

L’ansia affligge quasi una persona su due.

Alla domanda sull’ansia, il 40% degli italiani adulti afferma di averne sofferto nel mese precedente all’indagine. Un dato inferiore solo a quello dell’India, dove i livelli di ansietà si attestano al 60%. Sentirsi meno stressati, ansiosi o depressi, infatti, è in cima alle ambizioni di salute degli italiani (33%). Seguono il desiderio di dormire meglio (28%) e quello di perdere peso/migliorare la propria forma fisica (25%). La causa principale dello stress? Per 2 italiani su 5 è il lavoro. Una situazione che si riflette anche nelle fasce d’età più giovani: il 35% delle persone tra i 18 e i 34 anni teme un aumento del livello di stress e depressione nel corso dei prossimi 12 mesi, mentre l’insicurezza lavorativa è la preoccupazione principale per quasi la metà dei Millennials.

Più paura delle malattie che della vecchiaia

In cima alla lista delle preoccupazioni degli italiani legate al proprio benessere fisico, ci sono le patologie gravi (30%), che preoccupano ben più degli effetti dell’invecchiamento sulla salute (18%). Nonostante in Italia la popolazione adulta utilizzi il web o le app come strumenti di pagamento o di gestione in misura minore rispetto agli altri paesi analizzati (-8%), quando si tratta di informarsi su sintomi o diagnosi mediche, gli italiani sono tra i più assidui nella ricerca di informazioni online (41%; +9%). A proposito di ricerche online su sintomi e patologie, italiani e irlandesi (rispettivamente 41% e 39%) sono superati soltanto da turchi e indonesiani (rispettivamente 42% e 48%). Affidarsi al web per trovare questo genere di informazioni è una pratica meno diffusa in Cina (16%) e India (5%). Una curiosità: rispetto alla media degli altri paesi analizzati, gli italiani sono anche più propensi a leggere su forum e social media le esperienze di altre persone con stessi sintomi, patologie o disturbi.

Meno di un italiano su dieci si assicura

La salute risulta quindi essere tra le principali preoccupazioni degli italiani. Tuttavia meno di 1 partecipante al sondaggio su 10 afferma di possedere un prodotto assicurativo dedicato. I valori risultano invece più alti in altri Paesi europei come ad es. la Francia in cui la percentuale sale al 34%. Nel dettaglio, tra gli italiani partecipanti al sondaggio, solo l’8% ha dichiarato di possedere un’assicurazione sanitaria privata e ancora meno – il 6% dei rispondenti – afferma di avere una forma di copertura sulle malattie gravi.

Arianna Destro, Chief Customer Officer di Aviva, ha commentato: “Nonostante la salute sia una preoccupazione centrale per gli italiani, il ricorso alle assicurazioni dedicate è ancora basso. Le polizze assicurative giocano un ruolo importante per garantire tranquillità e sicurezza e credo che spetti anche a noi, aziende leader nel panorama assicurativo nazionale, agevolare un cambiamento di prospettiva”.

Agricoltura: finalmente novità nella gestione del rischio eventi climatici e nei rimborsi


Agricoltura: finalmente novità nella gestione del rischio eventi climatici e nei rimborsi

Millenovecento miliardi di dollari è il costo dei danni all’agricoltura causati nel mondo da eventi climatici avversi nel 2015. Di questi solo un quarto gode di una copertura assicurativa.

In una fase di cambiamenti nella virulenza dei fenomeni meteo evidenti, senza voler qui entrare nel merito scientifico della cause cui attribuirli, è di estrema importanza sensibilizzare gli operatori del settore italiani verso l’importanza di dotarsi di tutele assicurative adeguate. A questo scopo esistono per esempio i Consorzi di difesa, costituiti con il compito di assicurare le produzioni agricole, gli allevamenti, serre e strutture delle imprese contro i danni atmosferici, grazie ai contributi agevolati previsti dallo Stato.

La variabilità del clima, con crescenti eventi estremi, che secondo i dati della Commissione Europea potrebbero aumentare anche del 500% per la fine del secolo, sono elementi che obbligano al ricorso a polizze assicurative e fondi di mutualità che dovranno essere sempre più multirischio e a copertura di tutti gli eventi. Ma il sistema presenta aspetti di inefficienza e fra essi il serio problema dei ritardi nei risarcimenti che porta gli agricoltori addirittura a preferire di “sfidare la natura” pur di non compromettere l’equilibrio finanziario delle aziende.

In un precedente articolo, già ci eravamo occupati del fatto che dal 2015 – con l’ingresso del sistema nello Sviluppo Rurale – il sistema delle assicurazioni agevolate in agricoltura si sia sostanzialmente bloccato nel nostro Paese. Il Decreto di semplificazione e l’introduzione del PAI (Piano Assicurativo Individuale) che si basa sulle rese aziendali hanno infatti provocato un ingorgo burocratico che ha procurato un drastico calo dei valori assicurati a livello nazionale. Fatto che nel quadro dei mutamenti climatici in corso si carica di ulteriore e pericolosa gravità.

Una buona notizia è che ci sono novità in arrivo sul fronte delle dinamiche che legano le problematiche della gestione dei rischi in agricoltura agli scenari normativi europei. L’annuncio è arrivato direttamente per voce di Paolo De Castro
, primo Vicepresidente della commissione agricoltura al Parlamento europeo: “Si è finalmente chiusa a Strasburgo la procedura per la modifica del pacchetto agricolo dal Regolamento Omnibus; di fatto è stata approvata una sorta di revisione alla PAC, applicabile già dal primo gennaio 2018”. Un aspetto importante riguarda la gestione dei rischi: viene portata al 20% la percentuale relativa alla soglia di indennizzo (prima era al 30%), ovvero la perdita di prodotto necessaria per l’attivazione di misure di risarcimento; contemporaneamente viene innalzata dal 65% al 70% la percentuale di contributo comunitario, introducendo la possibilità di utilizzare indici economici per la quantificazione delle rese aziendali.

Giuseppe Blasi, Capo dipartimento delle politiche europee e sviluppo rurale del Ministero, ha ricordato in un recente convegno che “dal 3 novembre è in vigore un nuovo Piano Assicurativo Nazionale già predisposto per recepire le modifiche comunitarie; dobbiamo solo attendere gennaio – ha specificato – per applicarlo”. Affermazione importante dello stesso è che “Il grave ritardo nei pagamenti sarà via via azzerato: dal 2018 dovremmo andare a regime e pagare così gli indennizzi entro il primo trimestre successivo”.